Di Redazione (del 05/11/2020 @ 21:10:53, in Comunicato Stampa, linkato 709 volte)

“Mettici la faccia 2018”. Questo il titolo dello spot multiculturale realizzato dalle volontarie del progetto “In Reading 2018” del Servizio Civile Universale con lo scopo di promuovere una corretta comunicazione sociale, stimolando azioni rivolte al bene comune, e la biblioteca comunale “P. Siciliani” come patrimonio della cittadinanza, luogo di incontro e crescita personale.

Altro fondamentale proposito dello spot è quello di promuovere il pluralismo e la diversità culturale, mirando all’integrazione e al coinvolgimento di un pubblico multietnico alle iniziative e ai servizi offerti dall’ente.

Seppur non sia possibile attuare tutte le iniziative previste dal progetto, visto il momento delicato in cui ci troviamo, lo spot mostra alcune delle attività realizzate fin’ora, nel rispetto delle norme anti-Covid19, al fine di stimolare l’interesse per la lettura e allargare il gruppo dei lettori.

Con l’augurio che la situazione migliori al più presto e che la Biblioteca “Pietro Siciliani” possa tornare ad accogliere e coinvolgere tutti i suoi utenti, vi invitiamo a prendere visione del nostro spot.

 
Di Antonio Mellone (del 01/11/2020 @ 09:06:15, in Fetta di Mellone, linkato 2315 volte)

Avrei voluto parlare della Sabina (senza r) Panico e della sua Frutteria da un bel po’. Ma ho dovuto rinviare l’appuntamento fino a oggi: dapprima per via della clausura (lockdown per i puristi della lingua italiana), periodo nel quale era severamente vietato incontrarsi ma soprattutto porre domande (tipo le mie da commissione di inchiesta), e poi perché giunta l’estate - e quindi le Fette di Mellone - rischiavo di esser tacciato di conflitto di interessi. Ma eccomi finalmente in semi-libertà (c’è pur sempre una mascherina di mezzo) a raccontare la storia di questa bottega di Noha e della sua incredibile titolare: della quale dirò subito – non me ne vorrà - che ha superato gli Anta da un po’, ma ne dimostra appena Enta (saranno le vitamine con cui è in quotidiano commercio d’amorosi sensi).

La Frutteria, nata tre anni fa, è uno schiattone (virgulto) di un albero antico che affonda le sue radici intorno agli anni ’60 del Novecento, quando in via Maddalena nonna CChina (con due C) gestiva un piccolo negozio di generi alimentari. Quest’albero è cresciuto robusto, irrorato dal sudore e purtroppo anche dalle lacrime di una casa. Durante l’infausto 1992, infatti, l’amabile Assunta (chi non la ricorda con affetto), subentrata nel frattempo alla suocera nella conduzione della sua putea, scompare improvvisamente appena quarantaseienne in un incidente stradale sulla Noha-Galatina, lasciando soli e impietriti il marito Michelino, e i suoi tre figli: Toni di 21, la nostra Sabina di 19, e il piccolo Marco di solo 8 anni.

Fu così che Sabina, non ancora ventenne, bruciando tutte le tappe, si trova dalla sera alla mattina a essere la donna di casa, la madre dei suoi fratelli, e pure l’imprenditrice della sua azienda. Me ne parla con il sorriso, mentre involontarie gocce di memoria imperlano i suoi occhi: “I professori si commuovevano quando ero io a presentarmi agli incontri scuola-famiglia di Marco”. Non solo loro, Sabina, tutta la comunità.  

Nel corso dei successivi venticinque anni la famiglia cresce. Arriva il matrimonio con il suo Luigi (buono e ‘ngarbato come lei), e dunque Samuele, il primo figlio, oggi diciottenne, ed Eleonora, la piccola, quattordici anni, entrambi al liceo artistico di Lecce. “Ragazzi responsabili”, mi dice, e io rincaro bravi e bellissimi (e non sono uno di manica larga nei giudizi).

E così il tempo galoppa fino al 2017, quando Sabina decide d’amore e d’accordo con tutti di lasciare la bottega di via Maddalena al fratello Marco e alla sua zita, per dar vita allo schiattone di cui sopra, vale a dire La Frutteria di via Mameli. Che, come si arguisce dalla denominazione, sarà pure la classica bottega del fruttivendolo, ma con l’aggiunta di qualche chicca in più che ora vedremo.

Sulle mensole e sui ripiani architettati da Luigi (è il suo mestiere), poggiati su montanti fatti da pezzi di scale in castagno (quelle utilizzate un tempo per la raccolta delle olive) e sulla gondola centrale composta da cassette in legno recuperato anch’esso da altri usi, così come il bancone, trovano alloggio frutta e verdura perlopiù di stagione, insieme ad altri prodotti della terra e del lavoro dell’uomo. Qui finalmente tutto sembra parlare italiano, se non proprio salentino, quando non addirittura nohano.

Sabina mi fa da guida nella sua piccola galleria d’arte (un canestro, per dire, mi ricorda tanto quello del Caravaggio, oltretutto la stagione è quella) e mi fa: “La frutta non dovrebbe mai fare viaggi troppo lunghi, se no si stanca e non fa bene. Questi cavolfiori, le cicorie, le rape, i pomodori invernali da penda, peperoni, melanzane, e queste zucche me li portano direttamente dei contadini di Noha. Le patate sono della zona di Alliste e Racale, i meloni del neretino, e queste patane (patate dolci) provengono dal nord del Salento. La farina che vedi in questi pacchetti, invece, è proprio della mia campagna, o meglio di quella di mio padre che quest’anno ha seminato il grano. Fave, ceci e piselli secchi invece sono di Zollino, queste altre verdure sottolio di Scorrano. Ma abbiamo anche le friselle che prendiamo da un forno di Corigliano, il miele che ovviamente è prodotto a Seclì da Musardo, e la pasta che ci arriva direttamente dagli artigiani Manta di Aradeo. Queste marmellate sono prodotte a Melissano, mentre le uova del paniere, con la data di produzione stampata sul guscio, sono delle galline ruspanti di una masseria qui vicino. Certi altri prodotti, li compro ai mercati generali. Però li scelgo sempre italiani, anche se costano un pochino di più e benché a volte la frutta estera paia avere un aspetto migliore: che ci posso fare è più forte di me. Vabbè, ho anche banane e ananas: è ovvio che questi frutti provengano dai tropici, ma sono un’eccezione qui dentro, come qualche altro raro prodotto che utilizzo per le composizioni di frutta fresca sbucciata, tagliata e disposta sui vassoi secondo l’estro e il raccolto del momento. Certo mi sono inventata quest’altro lavoro, che comporta molto impegno ma devo dire che finora è stato molto apprezzato. Lo faccio su ordinazione. Ah, dimenticavo, più volte la settimana preparo con le mie mani anche il minestrone crudo e fresco (in questo negozio non c’è nulla di surgelato), con le verdure del giorno. A me piace molto, e sembra io sia in buona compagnia. Ci tengo a ribadire che bucce e scarti delle mie lavorazioni sono raccolti in compostiera, pronti a diventare humus per i nostri ulivi: sissignore, noi non produciamo rifiuti - anche se paghiamo un sacco di spazzatura.”

Ebbene sì, le parole di Sabina sono come le ciliegie: una tira l’altra. Ed è sempre piacevole ascoltare questa donna straordinaria i cui neuroni non hanno turno di riposo nemmeno di notte: “Sabina, scusa, ma quand’è che riesci a rilassarti un po’?”. E lei: “Sai, lo pensavo proprio l’altro giorno mentre ero sdraiata su quella poltrona: dal dentista”.

Prima di salutare la Sabina, mi guardo nel grande specchio della frutteria e, sarà un  trompe-l'œil, il mio viso per un attimo mi sembra un ritratto di Arcimboldo.

In strada, mentre sto per andar via, mi volto per ammirare in un colpo d’occhio La Frutteria, l’adiacente novella rosticceria Frumento, la contigua pasticceria  Zucchero & Cannella, e poi all’angolo il grazioso salone Lulè Acconciature dell’Antonella Geusa, e quinci la pescheria Sapore di Mare da lungi, e quindi il Tribal Cafè, e mi vien da pensare quanto i dintorni di via Mameli mi ricordino Montmartre e le sue stradine di negozi e artisti, lontane dai grandi boulevard, dai mega palazzi, e dalle piazze della Grandeur: di là le Sacre Coeur, di qua la nostra Madonna delle Grazie; in rue St. Vincent, le Jardin Sauvage; in via della Pace, i Giardini che prendono il nome della compatrona nohana.

Quanto aveva ragione quella mia amica quando asseriva che se Parigi avesse le casiceddhre sarebbe una piccola Noha.

Antonio Mellone

 
Di Redazione (del 01/11/2020 @ 09:06:10, in Comunicato Stampa, linkato 802 volte)

Acquedotto Pugliese sta effettuando interventi per il miglioramento del servizio nell’abitato di Noha, frazione del Comune di Galatina (Le). I lavori riguardano l’inserzione di nuove opere acquedottistiche.

Per consentire l’esecuzione dei lavori, sarà necessario sospendere temporaneamente la normale erogazione idrica il 2 novembre 2020 in Via Verdi, Via Cadorna, Via Benevento, Via Battisti, Via Mameli, Vico Congedo, Via Carducci, Via della Pace, Via Colombo, Via Tiziano, Via Croce, Via Flacco, Via Marotta, Via Catania, Via Filizzi, Via Magno dell’abitato di Noha.

La sospensione avrà la durata di 4 ore, a partire dalle ore 8:00 con ripristino alle ore 12:00.

Acquedotto Pugliese raccomanda i residenti dell’area interessata di razionalizzare i consumi, evitando gli usi non prioritari dell’acqua nelle ore interessate dall’interruzione idrica. I consumi, infatti, costituiscono una variabile fondamentale per evitare eventuali disagi.

Acquedotto Pugliese S.p.A.

 
Di Redazione (del 01/11/2020 @ 09:03:47, in Comunicato Stampa, linkato 726 volte)

A causa della positività al Covid-19 di più di tre atleti salentini, emersa dai tamponi processati in data odierna, e nell’impossibilità di effettuarne altri di controllo, la Lega ha disposto il rinvio a data da destinarsi della gara di domenica 01 novembre contro Modica.

Il settore sanitario del club ha ordinato l’applicazione del protocollo sanitario, isolando gli atleti, tutti asintomatici, e ponendo in isolamento fiduciario gli altri componenti del gruppo squadra che saranno sottoposti al doppio tampone molecolare.

 

Piero de lorentis

Area Comunicazione

Efficienza Energia Galatina

 
Di Antonio Mellone (del 30/10/2020 @ 18:36:42, in NohaBlog, linkato 1184 volte)

Per somiglianza di suoni Sìrgole rievoca un po’ Frìttole - il borgo di “Non ci resta che piangere”, film del 1984 con Troisi e Benigni - ma è una tenuta, meglio, la denominazione di una contrada del feudo di Cutrofiano frequentata da molti nohani e altrettanti galatinesi, tra i quali mio papà Giovanni che ne ha coltivato un pezzo per una vita, coinvolgendo per un tratto e suo malgrado (nel senso di mio malgrado) il sottoscritto: erano i tempi infausti del tabacco, un’era geologica fa. Oggi ce lo porto io, mio padre, insieme ai suoi 97 anni a far due passi, a prendere aria, a “sbariare” un po’.

Ebbene, ogni volta che vado a Sìrgole torno a casa sempre con qualcosa di buono. A seconda della stagione, i gelsi, i peperoncini e le melanzane, l’uva, i kaki e i kiwi (con questa k che sa di esotico), e le cicorie che oggi coltivano i miei cugini di campagna; ma anche le “creste” (sempre nel senso di cicorie) che la terra ci dona sua sponte. A volte tra le produzioni fresche e genuine abbiamo pure i libri (ché cultura e agricoltura sono sempre andate a braccetto). Questi ultimi non me li passano i suddetti cugini, ma, copiosi, dunque con la carriola, i vicini di campagna: o meglio, il vicino che risponde al nome di Gianluca Virgilio, professore di lettere al liceo scientifico di Galatina, conosciuto ormai da tutti perché da anni scrive su “il Galatino”, e pure un bel po’ di libri - alcuni addirittura tradotti in francese (non vedo l’ora di rileggerli in quest’altra lingua romanza).

Questa volta il fragrante tomo “virgiliano”, letto come d’abitudine nell’arco di due pomeriggi, è “Zibaldone Salentino”, Edit Santoro, Galatina, 2020, 150 pagine, quasi omonimo della rubrica (cambia solo l’aggettivo in “galatinese”) tenuta, appunto, su questo giornale. Si tratta di un tipico prodotto a km 0, giacché è stato certamente pensato nel corso di letture sotto il pergolato, annaffiature di piantine e sfalcio di erbe, e dunque scritto, benché rapsodicamente, sempre a Sìrgole, “campagna ricca di sogni”, onde finalmente podere è potere.

Il titolo del libro, ça va sans dire, è un omaggio a Giacomino nostro, che al suo “scartafaccio” attribuì gli aggettivi di “smisurato” e “immenso” (io ci aggiungerei “superbo”, molto usato dal Leopardi nell’accezione di magnifico e grandioso, e giammai di protervia o spocchia), tipici del Pensiero: il quale o è critico - dunque senza limiti timori o altre siepi che il guardo escludono - o non è. Purtroppo codesto pensiero è oggi, come dire, negletto, quando non spinto sul banco degli imputati, non necessariamente da una querela temeraria, ma proprio dal comune sentire, dall’uniformazione globale falsamente pluralista, dall’omologazione a senso unico.

Ciononostante vale la pena di provare esprimerlo, questo pensiero (o questo spirito), anche a costo di spaccare il capello in quattro e apparire antipatici alla massa ondivaga a seconda di dove spira il vento del marketing, vale a dire la propaganda da parte della classe dominante. E così nascono le pagine di questo diario senza tempo che ti fa riflettere sulle parole, tipo “successo”, una cosa a cui molti ambiscono ma che altro non è che un participio passato; sul senso della vita, che visto che è a scadenza val la pena di trattarla con più ironia e distacco; sullo spreco delle migliaia di case vuote, mentre tutto intorno le betoniere continuano rovesciare cemento sui comparti edilizi senza fine; sul ruolo dell’insegnante e quindi della scuola che non dev’essere un luogo dove “si formano e si valutano gli studenti”, bensì un posto dove “dialogare e stare a vedere”; sulla violenza del capitalismo, che fa rima con cannibalismo, suicidio dell’umanità; sul ruolo della tecnologia che ci sta spingendo verso il distanziamento sociale ante-litteram; su quanto la mia ricchezza non valga nulla se il mio dirimpettaio sta male; sul Panem et circenses quale metodo di inquadramento delle masse; su quanto il potere si serva dell’inganno per raggiungere i suoi obiettivi; sul Neo-Barocco, che è quello della nostra epoca, così pervasa dalla “gentrificazione” dei centri storici, dallo scimmiottamento della pizzica e dai riti vuoti del turismo; e su infiniti altri temi tipici di uno Zibaldone.

Scrive bene Gianluca, avrà preso da suo padre, il compianto prof. Giuseppe Virgilio. Lo stesso giorno in cui mi consegnava la sua novella creatura – guarda la combinazione - terminavo di rileggere, di Giuseppe, lo stupendo “Memorie di Galatina”  - Congedo Editore, Galatina, 1998 - che consiglio vivamente. A Noha si dice: “L’arte de lu tata è menza ‘mparata”, ovvero “Sotta ‘nu pannu finu c’è ‘naddhru ‘ncora chiù finu”.

Credo non ci sia bisogno del traduttore di Google perché si colga il senso di questi apoftegmi nohani anche a Galatina.

Antonio Mellone

 

[articolo pubblicato su “il Galatino”, anno LIII, n. 17 – 23 ottobre 2020]

 
Di Redazione (del 29/10/2020 @ 18:32:59, in Comunicato Stampa, linkato 796 volte)

Il Sindaco a deciso di tenere i cimiteri di Galatina, Noha e Collemeto aperti da oggi fino al 5 novembre con orario continuato 8 - 17 per dare la possibilità a tutti di recarsi a fare visita ai propri cari in totale sicurezza e senza creare assembramenti.
I volontari della Protezione Civile e gli agenti della Polizia Locale garantiranno l'accesso contingentato.
La raccomandazione è sempre la stessa, massima igiene, no assembramenti, sistemi di protezione.

 

 
Di P. Francesco D’Acquarica (del 26/10/2020 @ 20:47:24, in Le Confraternite di Noha, linkato 1056 volte)

Continua, con questa seconda puntata, l’inedita Storia delle Congreghe della nostra cittadina, donataci dall’instancabile penna di P. Francesco D’Acquarica, missionario giramondo per amore di Cristo, ma di fatto mai “allontanatosi” da Noha.

Noha.it

Non una ma tre congreghe

Il fenomeno dell’aggregazionismo in confraternite trovò a Noha, come nel resto della Puglia, le sue più immediate motivazioni anzitutto nelle disposizioni del Concilio di Trento (1545-1563), ma anche nel massiccio radicarsi nel territorio di Ordini monastici come quello francescano e domenicano, affiancati dai Gesuiti nella predicazione delle cosiddette missioni cittadine.

Le disposizioni tridentine prevedevano la costituzione di una confraternita dedicata al Santissimo Sacramento in ogni chiesa parrocchiale, e perciò anche a Noha. Questo spiega l’enorme diffusione nel territorio pugliese di confraternite che ancora oggi si fregiano di questo titolo. La rappresentanza sociale era costituita non solo da notabili del luogo, ma anche da rappresentanti dei civili, cioè dai borghesi, dagli artigiani e dai contadini, la cui direzione spirituale ed anche economica era affidata al clero secolare.

A quella del Santissimo Sacramento seguirono le confraternite legate al culto della Vergine del Rosario gestite dai Domenicani, che si diffusero con altrettanta rapidità specie dopo la vittoria cristiana sui Turchi nella battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), favorite oltretutto dall’ impulso conferito alla pratica della recita del Rosario da parte di Pio V (1504-1572), papa dal 1566 fine alla morte.

A Noha, tranne il convento di Santu Totaru (che di fatto era un priorato rurale retto dai Basiliani), non si annoveravano cenobi dei grandi Ordini Religiosi nati nel medioevo, e tuttavia non mancavano, almeno fino al 1850, le Confraternite. Che erano addirittura tre:  quella del Santissimo Sacramento, quella del Santissimo Rosario e quella della Madonna delle Grazie.

L’informazione certa ce la dà l’arciprete don Michele Alessandrelli (Seclì 1812 - Noha 1882) che nel 1850 prepara la relazione sulla parrocchia per la visita pastorale che Mons. Luigi Vetta, Vescovo di Nardò, e che eseguirà in tutta la sua diocesi tra il 1850 e il 1854.

 

Nell’introduzione alla relazione l’Alessandrelli scrive:

Questo è l'inventario di tutti i beni stabili, mobili, semoventi, rendite, azioni, ragioni e pesi di qualsivoglia sorte della Chiesa Parrocchiale di Noha, provincia d'Otranto e Diocesi di Nardò, fatto nel quindici aprile 1850 dal Rev. Don Michele Alessandrelli, Arciprete Curato della detta Chiesa in conformità delle disposizioni dell'Ill.mo e Rev.mo D. Luigi Vetta, Vescovo di Nardò, contenute nell'editto della S. Visita in data de' tre aprile 1850.

 

E a proposito delle Confraternite così si esprime:

Nella mano sinistra del Coro vi è uno stipo, nello quale il Priore della Confraternita del Sagramento tiene riposta la cera che abbisogna per le funzioni del Corpus, della terza domenica, e del S. Sepolcro: lo stesso è colorito verde oscuro, detto stipo tiene la sua serraglia e chiave.

Vi sono in questa Parrocchia sei statue, cioè nella chiesa matrice due: una del Protettore S. Michele Arcangelo, l'altra di S. Vito, e la testa della statua di Maria SS.ma del Rosario col Bambino: di questa ha cura, e conserva gli abiti il depu-tato della Confraternita del SS.mo Rosario Vitantonio Benedetto: le altre tre si conservano nella Congregazione di Maria SS. ma delle Grazie, come si vedrà nel descrivere la Cappella. Più una statuetta di Cristo Risorto, ed un'altra dell'Ecce Homo.

 

 
Di Redazione (del 26/10/2020 @ 20:26:00, in NoiAmbiente, linkato 1267 volte)

Quando ci abbassiamo e mettiamo le mani in mezzo alle sterpaglie per strappare dalla terra il “vizio” di qualche incivile, ci chiediamo con quale diritto questi abbia deciso quanta terra debba essere sacrificata per le proprie perversioni.

Certo, non c’è risposta che sostenga alibi, non c’è alibi. Oggi, 25 ottobre 2020, sulla SP371, scortati da due auto della polizia provinciale, eravamo di nuovo gli stessi: padri, madri e tanti ragazzi, per fortuna anche loro.

Si perché per fare questo lavoro di volontariato non basta avere “stomaco”, ma certe volte ci vogliono anche muscoli per tirare su copertoni e pezzi di camion o altri materiali pesanti gettati così, come se fossero bottiglie vuote.

E così, mentre ti si sbriciola nelle mani l’ennesima bottiglia di plastica, oramai allo stato massimo di cristallizzazione, quasi ti viene voglia di piangere per l’impotenza che provi. E passi oltre lasciandoti dietro, con amarezza, un altro campo oltraggiato da un’incomprensibile ignoranza, figlia di questa pseudo civiltà.

L’immagine che ci resta impressa, non sono solo i copertoni, non è la colata di catrame puro che ha invaso il canale di raccolta delle acque e ha imprigionato inesorabilmente ogni rifiuto, non sono i cento o i duecento sacchi di rifiuti strappati alla vegetazione che nonostante tutto cerca di riprendersi il suo spazio, non è nemmeno il volto triste di Edoardo, un ragazzo di 16 anni che spinge la carriola carica di bottiglie vuote, a lasciarci di stucco è lo spettacolo che si para all’orizzonte: nastri infiniti d’asfalto e ferraglia di confine di queste pleonastiche strade, ci resta impressa l’immagine dei pannelli fotovoltaici a sinistra e dei campi di ulivi secchi a destra e sullo sfondo, dominante come il grande Golia biblico, l’impatto ambientale palese, che non lascia dubbi.

 

Noi ci siamo, siamo pronti a ricominciare. E lo facciamo dalla nostra storica sede. Vogliamo rilanciarla, vogliamo che sia vista come casa di tutti, perchè chiunque ci entri si senta il benvenuto. Vogliamo che sia un punto di incontro, un luogo ricreativo, di dialogo e di confronto, un luogo di litigio se serve a creare il compromesso. Vogliamo che diventi la sede dei giovani; ed è proprio da loro che vogliamo ripartire. Il PD di Noha ha a cuore i suoi giovani, e vorrebbe coinvolgerli tutti perché tutti possono dare un apporto per la cura e la custodia del contesto sociale in cui abitiamo: la nostra Noha. Non importa la continua e costante informazione politica, conta invece che i giovani abbiano l’entusiasmo politico, che concretizzino le idee fresche proprie della loro età. Vi accogliamo perché ne vale la pena. Siamo stanchi dei soliti pregiudizi, degli sterili stereotipi che guardano al giovane come incosciente. Noi abbiamo puntato lo sguardo su di voi perché il vostro aiuto è importante per crescere insieme. Lo sanno bene Matteo, Sara, Luigi e Christian. Lo sanno bene coloro che si affacceranno alla porta della nostra Sezione in questi giorni, perché infondo non si è mai così lontani se si ha a cuore la vita del paese. Vogliamo guardare al territorio, fare festa, dare fastidio se necessario, essere scomodi per alcuni e punto di riferimento per altri; ma vogliamo farlo con voi. Insieme poi, saremo supportati da chi si è battuto per tenere vivo il nostro Circolo, ed anche se la fiamma cominciava a venir meno, per fortuna non si è mai spenta. Serve il supporto di tutti, serve l’apporto di tutti, perchè la tessera consente di aderire ad una comunità che guarda e si impegna per il territorio ad essere una comunità viva, utile, verso cui riporre fiducia, passione, tempo, energie, in un partito che ascolta il suo popolo. Quindi se da soli siamo più veloci, insieme si va più lontano ed è di un progetto coraggioso che guardi al futuro, ciò di cui abbiamo bisogno.

 

Canto notturno di un pastore ...

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