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“Io non vi parlo da maestro ma da compagno. Non vi esorto da capitano ma vi invito da soldato. Sono coetaneo vostro e condiscepolo vostro ed esco dalle stesse scuole con voi, cresciuto tra gli studi e gli esercizi vostri, partecipe dei vostri desideri e delle speranze e dei timori. Abbiate pietà di questa bellissima terra, dei suoi monumenti, delle ceneri dei nostri padri e fate che la povera patria nostra in tanta miseria non rimanga senza aiuto perché non può essere aiutata fuorché da voi.”

Il passo riportato sopra e letto all’inizio della presentazione della mostra di pittura realizzata il 16 marzo presso il Circolo Arci Levera di Noha, è preso dal "Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica" di Giacomo Leopardi, e ovviamente è rivolto ai giovani del tempo del sommo poeta. Michele D’Acquarica, attraverso il linguaggio delle sue opere ci vuole dire le stesse cose, cioè, esortarci ad amare la bellezza in ogni sua manifestazione.

Il pittore di Noha ha dipinto tantissime opere, centinaia, forse migliaia. Purtroppo, sono sparse in giro per il mondo. Infatti, alcuni dei suoi figli emigrarono anche in Brasile. La maggior parte sono a Milano e in Sicilia, altre sono visibili a Cutrofiano e sono per lo più affreschi sacri, così come il San Michele Arcangelo e il Calvario a Noha, paese natio di Michele D’Acquarica.

Nei quadri di quadri di Michele D’Acquarica, notiamo che l’artista non è votato solo per la pittura a sfondo religioso, ma la sua passione rientra anche in paesaggi di diverse zone geografiche d’Italia e figure mitologiche, frutto probabilmente di profonde letture. Infatti tra le sue molteplici opere troviamo anche illustrazioni di episodi per romanzi, come per esempio “La Macchia di sangue”.

Ci ricorda il Filosofo Umberto Galimberti:

“Quando osserviamo un quadro ci comportiamo come quando ammiriamo una perla, dimenticando che la perla è la malattia della conchiglia, così senza la “fatica” dell'artista quell'opera non sarebbe mai nata”.

Alea iacta est

«il dado è stato tirato», o «la sfida è ormai lanciata».

La frase la pronunciò Giulio Cesare nel 49 a.C. quando decise di infrangere la legge entrando con le armi nei confini di Roma.

Come sappiamo tutti dalla storia, nel 1920 l’Italia viveva un grande fermento, il 1919 e 1920 fu chiamato il biennio rosso, il periodo storico che seguì alla fine della Grande Guerra e in tutta l’Europa c’erano lotte sociali, scioperi e sentimenti di ingiustizia seguiti dai risultati non soddisfacenti del Trattato di Versailles. Possiamo immaginare che anche i giovani di Noha fossero presi nella fase di forti cambiamenti socioeconomici.

Michele D'Acquarica in questo periodo ha 34 anni, ed è vedovo da soli due anni, con due figli da mantenere, eppure insieme a tanti altri concittadini trovano la forza per lottare. Anche Noha non era esclusa dalle lotte contadine per le terre e gli scioperi del mondo operaio. Sappiamo anche che purtroppo il tutto finì per essere fagocitato da una delle dittature più tragiche della storia d’Italia.

Possiamo spiegarci quindi l’immagine della Libertà in posa di vittoria, che rappresenta la giovane Italia, coronata d'alloro dopo la vittoria della Prima Guerra Mondiale, con i simboli di fertilità (le spighe nella destra) e di santità e purezza (il giglio nella sinistra), e a questo punto il selvaggio abbattuto sembrerebbe essere quindi l'Austria asburgica, di cui il nostro artista ricorda i colori, giallo e nero.

Per contestualizzare il tutto possiamo ancora notare la presenza dello scudo monarchico e del fantastico stemma di Noha con le tre torri, stranamente privo dei due velieri.

Michele D'Acquarica, mediante le sue opere d’arte, ci lascia un messaggio importante, e cioè che nella vita è necessaria sì la competizione, ma non per sovrastare l'altro, ma ci fa capire che è necessario competere in bellezza, partecipare con le proprie qualità e conoscenze alla costruzione di riferimenti positivi, sforzarsi d'essere un esempio che faccia migliorare l'ambito di tutti, perché, ognuno di noi, primi ed ultimi, anzi soprattutto gli ultimi, quelli che faticano, che sono meno fortunati, possano avere a loro volta delle certezze, e quindi essere parte accolta  di una grande famiglia: LA COMUNITA’.

Al momento non sappiamo come, ma certamente sarebbe bellissimo se con una parte di queste opere, si potesse allestire una mostra permanente, magari con l’aiuto della Amministrazione Comunale di Galatina in un luogo pubblico di Noha, come segno di riconoscenza verso il nostro artista ma anche di testimonianza all’armonia e all’eleganza espressa nella sua arte, quella cosa che gratuitamente e senza fare alcun rumore, contribuisce anche alla formazione positiva dell’identità delle nuove generazioni.

Marcello D’Acquarica

IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
IL PITTORE DI NOHA IL PITTORE DI NOHA
 
Di Redazione (del 18/03/2024 @ 13:36:42, in Comunicato Stampa, linkato 339 volte)

Oggi lunedì 18 marzo alle ore 18:00, nella Sala Conferenze dell’ex “Palazzo De Maria”, in Corte Taddeo, prosegue la presentazione di un Laboratorio di scrittura autobiografica, dal titolo “La scrittura e lo specchio, il cassetto dei ricordi”, che la nostra Associazione intende proporre ai soci e agli amici che vorranno frequentarlo.

Ad animare il secondo incontro introduttivo sarà la prof.ssa Maria Luisa Quintabà che ci presenterà il libro di Duccio Demetrio, “Green autobiography”, un testo utile a suggerire modalità significative “per redigere diari naturalistici, memorie di viaggio, liriche e vere ed autentiche autobiografie”.

 

A volte è necessaria una pausa riflessiva, diciamo giusto per riprendere fiato. Anche questa è resilienza.

Michele D'acquarica ci mostra la sua tenacia in momenti durissimi della vita del secolo scorso.

Ci insegna a tenere dritto il timone sulla rotta di bellezza, lo fa con la sua arte.

Sarà poco incisivo nel nostro quotidiano, ma una cosa è certa, per scoprire profondi significati dall'arte e dalla poesia, come dice Galimberti, occorre un po' di follia, essa è più forte della ragione.

Marcello D'acquarica

 

NEL WEEKEND Galatina ospita un appuntamento internazionale di danza con ballerini e ballerine da tutta Italia e anche dall’estero. Sul palco del Teatro Cavallino Bianco si esibiranno concorrenti di tutte le età, in gara per i premi e le borse di studio previste nelle varie discipline. I direttori artistici della manifestazione sono Davide Campagiorni e il presidente dell’Associazione nazionale maestri di ballo, Pierluigi Petracca, che commenta: “L’organizzazione ha confermato la scelta di Galatina grazie alla sensibilità e all’accoglienza già dimostrata dal Comune nel 2023, mettendo a disposizione il teatro Cavallino Bianco, location elegante e degna di grandi eventi di qualità come il World Dance Festival. Il nostro impegno è quello di far conoscere e promuovere questo centro e tutto il suo territorio quale sede ideale e stabile per una serie di appuntamenti di grande richiamo all’insegna della danza, dell’arte e della cultura”.

SABATO 16 MARZO. La prima giornata del WDF 2024 è riservata a solisti, duo e gruppi di danze coreografiche (specialità synchro, choreographic e show dance), danze latino americane, danze etniche (orientali, popolari, folklore) e fitness dance. Si inizia alle 12, tutte le informazioni aggiornate nel sito www.worlddancefestival.it e nella pagina Facebook “wdfitalia”.

DOMENICA 17 MARZO. In programma i concorsi riservati alle danze accademiche - classica, moderna e contemporanea - e i contest di urban dance per le specialità di hip hop, breaking e videodance. In giuria maestri e professionisti di livello internazionale, come Fredy Franzutti (presidente di giuria), Maria Luisa Buzzi, Valerio Moro, Fabio Crestale e Renato Zanella (accademiche), insieme a Gianni Wers, Byron Claricia Martina Toderi, Fritz Zamy e Jesus Guia (street dance).

 

Oggi venerdì 15 marzo alle ore 18:00, nella Sala conferenze dell’ex Palazzo De Maria, in Corte Taddeo, è in programma il secondo dei tre incontri che l’Università Popolare dedica alla poesia: l’evento odierno, che sarà introdotto dal Presidente Mario Graziuso, prevede una relazione della Vice Presidente e poetessa Maria Rita Bozzetti sul tema: “Le voci della poesia religiosa”.

Come ben sappiamo la letteratura italiana è nata in poesia nel Duecento quando tra Umbria e Marche fiorì una corrente di poesia religiosa: ad essa si lega il Cantico di frate Sole (o Cantico delle creature), un inno di ringraziamento a Dio per le creature del mondo. Una seconda espressione del rinnovamento religioso di quell’epoca fu la lauda, valorizzata sul piano artistico da Jacopone da Todi.

Il discorso di Maria Rita Bozzetti, oltre a dipanarsi lungo le coordinate storico-letterarie del genere in esame, sarà incentrato, in particolare, sul significato che oggi possiamo avere di poesia religiosa, da intendersi come risposte o tentativi di risposta ad interrogativi spirituali, esistenziali che diversi poeti, anche di diverse tradizioni spirituali, ci hanno lasciato attraverso versi intrisi di misticismo, di “abbandono all’Amore misericordioso di Dio”, di ricerca di trascendenza nell’esperienza umana.

Con la sua riconosciuta ed apprezzata sensibilità poetica, Maria Rita Bozzetti, attraverso la lettura di testi di Clemente Rebora, Cristina Campo, Margherita Guidacci, Davide Maria Turoldo, Mario Luzi e Paolino di Nola, ci avvicinerà alle diverse tematiche che oggi caratterizzano la poesia religiosa, tematiche legate alla fede, alla spiritualità, alla relazione tra l’uomo e il divino, alla riflessione sulla sofferenza umana e sul significato della salvezza.

 

Con il contributo della maestra Paola Congedo e ovviamente del sottoscritto, diretti nipoti del pittore di Noha, si è voluto organizzare una piccola mostra con alcune opere del pittore di Noha, Michele D'acquarica.
Quindi è tutto pronto per condividere  un pensiero positivo che nonostante i malanni della vita moderna e relative conseguenze spesso insostenibili, ha resistito fino ai nostri giorni.
È un messaggio, quello dell'artista della pittura e della poesia, che seppur nelle difficoltà della vita,  ha voluto che restasse il più a lungo possibile con i suoi figli, i suoi nipoti e infine con tutti noi.

Marcello D'acquarica

 
Di Antonio Mellone (del 10/03/2024 @ 14:21:21, in NohaBlog, linkato 1131 volte)

Non ho mai visto un cartello per cantiere di lavori pubblici più esilarante di quello fissato con quattro robusti chiodi a vite direttamente sul frontespizio lapideo della torre civica di Noha giusto qualche giorno fa: farebbe più ridere di una barzelletta, un film di Totò, o un comizio del nostro Sindaco, se non avesse tutta l’aria di una presa in giro.

Si sa quanto il Big Ben nohano, ormai 163enne, si regga sulle proprie gambe quasi per quotidiano miracolo, mentre le stanze al primo piano del medesimo complesso edilizio non esiterebbero a mandarci all’inferno, o in qualche altro incavo indebito altrettanto tenebroso, se solo possedessero il dono della favella.  

Per venire al dunque, il suddetto avviso riporta alcune informazioni importanti, tipo il committente (vale a dire il Comune di Galatina, bontà sua), i progettisti e i direttori della fabbrica (che in questo caso sembrano coincidere), i responsabili rispettivamente del procedimento e della sicurezza, e soprattutto la durata dell’opera: “150 giorni” [sic], non uno in più, né uno di meno.

Mistero fitto, invece, sull’importo dell’appalto, benché in teoria la spesa dell’operazione sarebbe tutta a carico nostro, e non, chessò io, del solito sponsor privato (tipo il cavaliere eugubino che ci compra e soprattutto ci vende a bordo di un elicottero), mentre segretissima rimane la data della prima pietra che, s’intende, potrebbe essere anche domani stesso, e quindi il momento (o l’era) di fine attività. In pratica allo stato attuale non sappiamo quando potrà partire il contatore di quei famosi 150 giorni: dies certus an et incertus quando, direbbero i latini (Dies incertus an et incertus quando, mi suggerirebbe il mio inguaribile pessimismo cosmico tendente ormai all’eroico).  

E comunque, a ben pensarci, 150 giorni, vale a dire più o meno 5 mesi di lavori per il consolidamento strutturale e il ripristino di alcune parti franate (come per esempio la pietra in cima alla guglia), la sistemazione delle crepe e la riparazione di cornicioni, balcone e decorazioni, il rifacimento ex-novo del solaio pericolante e dei pavimenti delle due sale del vecchio “Municipio” un tempo nel medesimo stabile, la pulizia di tutta la facciata dell’edificio turrito, nonché il restauro delle arcate del campanile, oltre che della grande aquila dalla testa mozzata e dello stemma di famiglia del mecenate del tempo che fu, in uno con l’installazione del parafulmine, per non parlare del rifacimento delle banderuole segnavento in ferro battuto, e dunque della ri-messa in funzione dell’orologio e della ri-sonorizzazione delle due campane (quella delle ore e quella dei quarti) - magari con esclusione notturna e/o pomeridiana per la sacra siesta soprattutto estiva - e infine dell’illuminazione artistica di tutto il monumento in pietra leccese, se non altro per rendere un po’ più decorosa tutta la prospiciente piazza San Michele; dicevo: 150 giorni per tutte codeste incombenze paiono davvero un po’ pochini. E in effetti sarebbero pochi anche se gli operai venissero sottoposti ai lavori forzati, con turni diurni e notturni, giacché frustati a sangue, senza pause, ferie, malattie, e contratto collettivo nazionale di lavoro; ma esigui, quei giorni, pure se intervenissero simultaneamente l’esercito, le stampanti 3D, la meglio tecnologia automatica e l’intelligenza artificiale in persona.

 
Di Redazione (del 10/03/2024 @ 14:20:01, in Comunicato Stampa, linkato 396 volte)

Lunedì 11 marzo alle ore 18:00, nella Sala Conferenze dell’ex “Palazzo De Maria”, in Corte Taddeo, avrà luogo la presentazione di un Laboratorio di scrittura autobiografica, dal titolo “La scrittura e lo specchio, il cassetto dei ricordi”, che la nostra Associazione intende proporre ai soci e agli amici che vorranno frequentarlo.

Ad animare l’avvio di questa nuova esperienza sarà il prof. Antonio Errico, apprezzato narratore, saggista e opinionista, particolarmente attento a questa tipologia di scrittura. L’incontro sarà presentato dalla consigliera Daniela Vantaggiato.

Quali motivazioni ci hanno spinto ad avvicinarci alla narrazione autobiografica?

Riteniamo sia utile sollecitare un interesse non episodico o improvvisato, ma ben fondato e fertile, verso il racconto di sé e dei propri vissuti familiari, con l'idea che sia adatto sia per riprendere confidenza con la scrittura, in un tempo in cui si tende quasi a dimenticarla, ma anche quale "terapia" efficace al fine dell'elaborazione dei nodi problematici, dei conflitti, come delle positive esperienze, che appartengono ad ogni storia individuale. Secondo quanto sostiene Duccio Demetrio, uno degli studiosi più accreditati con riferimento a tale ambito di scrittura, “l’autobiografia, come scrittura di sé, non è un rifugio nel passato ma è ben piantata nel presente e orientata, piuttosto, al futuro. E’ tesa a trovare il senso della propria vita nel presente, orientati al futuro e riconciliati con il passato. Sapendo che non ci sono risposte definitive ai quesiti che vengono man mano individuati nella pratica autobiografica, che è anche un viaggio di ricerca continuo.”

Antonio Errico, per chi non lo conoscesse, è nato in provincia di Lecce dove vive ed è dirigente scolastico di un liceo. Ha pubblicato libri di narrativa e saggistica, saggi e racconti in volumi collettivi e collabora a quotidiani, riviste letterarie e scolastiche.

Per meglio comprendere il significato della sua presenza, oggi, per accompagnarci nella ri-scoperta dei nostri “luoghi della memoria”, riprendiamo un passaggio di un suo scritto sul tema della memoria quale nutrimento dello scrivere di sé: “Per esempio: i luoghi dell’infanzia. Un vicolo cieco con la ghiaia, un cortile con il glicine, un giardino con l’altalena tra i rami di un melograno. Luoghi che ricordiamo a stento, galleggianti, sfumati nel pensiero, come paesaggi nel fondo di un dormiveglia. I luoghi non sono mai come li ricordiamo. Sì, forse resta qualcosa: il verde forte, rugoso, screpolato, del portone di una casa che nessuno abita più, un tufo che fa da gradino, l’insegna arrugginita di una barberia; sì, forse resta qualcosa, come fosse una ruga riconoscibile in una fisionomia mutata; resta qualcosa ma i contesti si trasformano, i particolari vengono sostituiti, non ci sono più i volti che si ricordavano, non ci sono più le voci, le piccole storie che sembravano universali.”

Il Presidente

Mario Graziuso

 

Il quaresimale

Altra caratteristica della Quaresima del passato era quella di far tenere nella Chiesa un ciclo di prediche di 40 giorni da un sacerdote forestiero. Erano i tempi in cui non c’era la TV e neanche la radio e tanto meno i telefonini, perciò la gente era libera da ogni distrazione. Tutti, ogni sera andavano ad ascoltare il Padre Predicatore: era il “quaresimale”. Se qualcuno non partecipava era ritenuto quasi come un miscredente.

A Noha il Predicatore per la predica doveva salire sul pulpito per mezzo di una scala di legno. Non pensate ai moderni sistemi di amplificazione che consentono al sacerdote di essere udito chiaramente anche dall'altare come si usa oggi. Il pulpito di Noha era come una piattaforma di legno decorato, stile semplice, sopraelevato e appoggiato alla prima colonna dove oggi è ubicata la consolle dell’organo.

Noi ragazzini stavamo seduti sui gradini dell’altare, a volte vivaci e distratti, tanto da ricevere (giustamente) i richiami severi del predicatore.

La domenica prima delle Palme si chiamava "delle cruci cuperte”,  perché in questa domenica si coprivano le sacre immagini e le Croci per dare inizio alla settimana di Passione. Le croci e le immagini dei Santi venivano coperte con un drappo viola che era poi tolto il Sabato Santo quando cadeva “lu mantu o pannu”.

Ma prima c’era l’ultimo atto del quaresimale. Il predicatore (sempre un forestiero) doveva esibirsi con la “chiamata” della Madonna. Il Venerdì Santo, di sera, prima della processione, al momento culminante della sua perorazione sulla passione di Cristo, commosso fino alle lacrime, e con lui tutta l’assemblea, dall’alto del pulpito esclamava a gran voce: entra o Donna e prendi tuo Figlio! Era il momento di maggior pathos: la Madonna Addolorata, tutta vestita di nero, portata in spalla, entrava in chiesa annunciata da un suono lungo e lamentoso di una tromba, e condotta fin sotto il pulpito, dove il predicatore (io ne ricordo uno anche in lacrime) metteva sulle mani della Vergine il Crocifisso, invitando l’assemblea a unirsi alle sofferenze di Maria Addolorata e del Figlio morto.

Seguiva poi la processione del Venerdì Santo, molto suggestiva.  I Confratelli con la loro divisa (abito bianco legato ai fianchi con una fascia celeste, una mozzetta celeste, un medaglione sul petto con l’immagine della Madonna e un cappuccio bianco in testa) portavano la statua del Cristo morto e della Madonna Addolorata, mentre la banda suonava la marcia funebre. In quei giorni santi, protagonisti importanti e necessari erano i Confratelli della Congrega della Madonna delle Grazie.  A parte l’evento del giovedì santo con Cristo nel “sepolcro”  nella chiesa piccinna (oggi non esiste più), sede naturale della Congrega, veniva esposta la statua di Cristo morto con accanto la Madonna Addolorata. Lì si andava a far la visita al Cristo morto e da lì partiva la processione del Venerdì Santo, a sera inoltrata. L’organo e le campane restavano muti fino al mezzogiorno di Sabato Santo e i segnali liturgici venivano dati con la threnula o throzzula, una sorta di strumento di legno con un manico per tenerla saldamente in mano, con dei ferri fissati sul legno che si potevano muovere agitando decisamente quello strumento, per produrre il caratteristico suono sordo, triste e sgradevole. Per noi chierichetti era una gara percorrere con quell’arnese tutto il paese il giovedì e venerdì santo per segnalare il mezzogiorno o l’ora dell’Angelus.

La tradizione culinaria austera della Quaresima continuava con la “non festa” della thria cu li mugnuli, o della thria e ciciari, dal gusto delicato, il profumo piacevole e l’aspetto invitante. Era quello il tempo delle rustiche pignate, emblema della nostra tradizione, accompagnate dalle cicore 'ssettate, dalle rape 'nfucate e poi ancora dalle soffici e gustose frittate cu li cori de scarcioppule o cu li schiattuni de cicora o ancora con ricercati e preziosi asparagi selvatici.

 

 

Canto notturno di un pastore ...

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