mag222010
Figli vandali? Riparano i genitori
Lo scorso ottobre un raid teppistico distrusse le panchine di piazza XI Settembre Mille euro, raccolti in poche settimane, hanno contribuito ai lavori di sistem a z i o n e
• NOHA. I figli distruggono ed i genitori intervengono per riparare i danni. E’ quanto accaduto nei giorni scorsi nella frazione di Noha. Protagonista dell’iniziativa, un gruppo di residenti del centro abitato.
Tutto ha inizio nell’ottobre dello scorso anno, quando alcune panchine di piazza XI settembre, uno dei pochi spazi a verde attrezzati della fra zione, sono finite nel mirino di alcun vandali. Lo spettacolo che si è presentato sotto gli occhi dei cittadini dopo il «raid» era desolante e terribilmente triste. Quelle panchine del resto erano particolarmente gradite a tutti.
Quel segnale di ordinaria inciviltà non ha lasciato indifferenti alcuni di loro; la consapevolezza che a compiere quell’atto potesse essere uno dei tanti ragazzi che risiedono nel centro abitato, forse anche uno dei loro figli, li ha convinti a mettere la mano nel portafogli per accollarsi una parte delle spese che l’amministrazione comunale ha dovuto effettuare per riparare i danni.
E’ nato così un comitato spon taneo di genitori che è intervenuto soprattutto per dare un segnale ben preciso di senso civico ed appartenenza ad una comunità. Una piccola e difficile raccolta di fondi che è riuscita a racimolare circa mille euro, poi destinati alla partecipazione delle spese di risistemazione delle strutture.
Dopo pochi mesi le panchine sono state riparate e restituite agli abitanti della frazione. E la soddisfazione per quel risultato raggiunto ha in parte oscurato l’amarezza per quell’atto vandalico che non è passato inosservato.
«Abbiamo voluto lanciare un messaggio per invitare al rispetto delle buone regole di vita a coloro che non hanno ancora compreso la gravità di quei gesti – dicono alcuni di loro – avere cura e rispetto delle strutture pubbliche deve essere un obbligo serio e costante di tutti i cittadini».
fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno
mag252010
mag252010
mag282010
La frase del titolo è un’esclamazione di Lorenzo Tomatis, uno dei maggiori oncologi del dopoguerra morto nel 2007.
crf “Così ci uccidono”, Emiliano Fittipaldi, Rizzoli, Milano, 2010.
Vogliamo un paese produttore di energie e quindi quasi certamente di rifiuti tossici o un bel paese?
La salvaguardia della natura va fatta a prescindere dal colore politico. Le amministrazioni pubbliche hanno il dovere di fare il bene per il popolo in maniera democratica. I cambiamenti di simpatia da un partito all’altro non devono influire sulle scelte guidate dalla ragione. La mia osservazione in merito a contrada Roncella, è volta alla difesa di quel territorio, che altrimenti verrebbe devastato dall’ennesimo impianto fotovoltaico. Oggi è una superstite area naturale, ancora incontaminata da prodotti di scarto dell’uomo. E non può essere paragonata a nessuna distesa di pannelli, nemmeno se sopra vi si dipingessero diecimila ulivi secolari o prati di papaveri rossi. Se ognuno di noi avesse più cura del proprio spazio, saremmo un paese civile. Purtroppo non è così.
Non è necessario essere professori o geni dell’economia per chiedersi da che parte sta la verità. Sarebbe sufficiente confrontarsi democraticamente (e lottare per mantenere questo diritto), informarsi ed avere un briciolo di attenzione per il mondo che ci circonda, comprese le attività di alcuni furbi rivolte esclusivamente al proprio lucro. Il territorio in quanto ambiente di vita per tutta la natura, fatta di flora e fauna e non di cemento e immondezzai, non ci appartiene. Lo abbiamo ereditato dai nostri predecessori, e siamo altresì obbligati a lasciarlo ai nostri successori indenne il più possibile da inquinamenti di ogni sorta.
Oppure pensiamo davvero di essere eterni o di poter arraffare tutto per portarcelo all’altro mondo?
I pannelli fotovoltaici di per sé inquinano, e non solo per le parti in plastica o derivati usate nella struttura o per i cablaggi vari, ma per il fatto stesso che per costruirle si inquina ma soprattutto un terreno ancora allo stato naturale si riempie di carcasse di alluminio, ferro e silicio. Ma visto che è proprio necessario procedere al fotovoltaico sarebbe bene utilizzare gli spazi già occupati da case, palazzi e capannoni (ce ne stanno a bizzeffe) prima di ricoprire i residui centimetri quadrati di terra a nostra disposizione.
Il problema allora non sta nella scelta del fotovoltaico, ma nel fatto che si finisce sempre per esagerare. Gli utili diretti spesso vanno a quei pochi che sfruttano il meccanismo degli incentivi, ribaltando sui poveri cittadini il costo sociale. A questi ultimi restano le briciole, le macerie da smaltire a fine ciclo degli impianti, i problemi ecologici derivanti dallo scempio ambientale, oltre che il costo degli incentivi (che di fatto sono pagati da tutti i contribuenti).
Oramai dovremmo sapere tutti che una richiesta maggiore di energia da parte del mercato serve solo a produrre ulteriori forme di inquinamento, sia nella fase di produzione dell’energia stessa (vedi scorie e rifiuti tossici vari) che nelle migliaia di oggetti usa e getta di cui stiamo riempiendo la terra. Senza accorgercene stiamo chiedendo di avere ulteriori “beni” spargi veleni: altre televisioni, altre luci da accendere, altre auto da rottamare, altri viaggi low-cost, altre inutili autostrade, altre TAV, altre piattaforme petrolifere, altre antenne per la telefonia, altri ponti sugli stretti…
Più questo trend cresce e più aumentano le aree pericolose per la salute pubblica, compresi i depositi tossici per decenni, secoli e millenni.
I turisti non verranno nel Salento, a Galatina, a Noha o in qualche altro paese intorno a noi per vedere distese di fotovoltaici o foreste di pale eoliche o, peggio ancora, coste ricoperte di colate di cemento sottoforma di ville, alberghi, capannoni o villaggi turistici. Gli spot pubblicitari sul nostro Salento ci parlano di mare, di coste naturali e di un territorio ancora indenne da segnali di inquinamento e di stupidità umana. Facciamo in modo che questa volta non si tratti della solita propaganda ingannevole.
La difesa di questo patrimonio di benessere dal vandalismo consumistico o dalle paventate sedi di nuove Cernobil, con connessi depositi di scorie radioattive, dovrebbe essere per ognuno di noi il primo obiettivo da raggiungere.
L’energia è necessaria, ma la terra è indispensabile. Non ne abbiamo altre sulle quali poter vivere.
Marcello D’Acquarica
giu062010
giu102010
Ho conosciuto Corrado Marra nel corso di alcune riunioni di lavoro: siamo infatti colleghi, entrambi responsabili di filiale di un importante istituto di credito dell’Italia del Sud. Corrado, in provincia di Lecce; chi scrive, in provincia di Bari.
Capita sovente, nel corso di codeste riunioni, di far comunella con i compagni di viaggio, trascorrendo con loro, oltre alle ore canoniche degli incontri, gli intervalli, le pause pranzo o - nel caso di missioni in corsi residenziali lontano da casa con durateultragiornaliere - anche le serate in pizzeria con connesse lunghe, belle passeggiate e discussioni. Tuttavia il più delle volte si finisce per parlare di lavoro, di colleghi, di superiori, di numeri, in mille discorsi arzigogolati, fritti e rifritti.
Con Corrado Marra non è mai stato così. Sin da subito, senza bisogno di accordi, abbiamo parlato “d’altro”; e se qualche volta fuori orario s’è fatto riferimento al nostro lavoro, l’abbiamo fatto in maniera beffarda, canzonatoria, divertita e, ove possibile, auto-ironica, tra tante gustose risate. Quel “parlare d’altro” è la base ed il succo di queste note.
Può sembrare strano, ma due direttori di banca possono anche discettare di arte, di letteratura, di poesia, e di cultura. Sì, perché a Corrado piace dipingere; al sottoscritto, leggere e talvolta cimentarsi nella scrittura. E si sa che pittura, lettura e scrittura sono sorelle che da sempre vanno a passeggio sotto braccio.
Per essere ancor più espliciti diciamo che Corrado è un pittore di lungo corso (avendo egli, tra l’altro, frequentato l’Accademia delle Belle Arti di Lecce nel corso di pittura), mentre l’estensore di questi appunti è uno scrivente (e non s’azzarderebbe mai ad autodefinirsi scrittore, per quei tre o quattro libelli che gli è capitato di consegnare alle stampe, o per gli editoriali e le rubriche che tiene su di un periodico on-line semi-clandestino chiamato L’Osservatore Nohano).
Noi conveniamo sul fatto che si riesca ad essere bravi direttori di banca, coordinando collaboratori, raggiungendo determinati risultati, risolvendo mille grattacapi quotidiani, guadagnandosi la fiducia e la credibilità dei clienti, se e soltanto se si ha dimestichezza con le opere d’arte, con la poesia, con la musica; cioè solo se si frequenta il teatro, la fotografia, la pittura, il patrimonio librario, archeologico o archivistico. Dunque, solo se si ha commercio d’amorosi sensi con le arti figurative o con le mille altre testimonianze aventi valore di civiltà si riesce a essere anche dei bravi professionisti. Non c’è antagonismo tra i due aspetti, ma somma consonanza: non c’è soluzione di continuità tra la ricerca della bellezza, e la bravura e la professionalità di un uomo assiso dietro la sua scrivania. Un fatto non esclude l’altro, anzi lo completa, lo migliora, lo esalta.
Per far comprendere meglio a chi ci legge che qui si fa sul serio, diciamo che Corrado è anche titolare di una galleria d’arte, in via D’Enghien (www.artdenghien.it) una tra le più belle ed accoglienti di Galatina, con un invitante salotto al centro della sala, in cui si finisce per accomodarsi, sprofondando nelle sue comode poltrone. Così, per oziare, per passare il tempo, per discettare del più e del meno, si finisce per diventare terroristi armati di filosofia, titolari di quel pensiero migliore che solo è in grado di annientare le armi di distrazione di massa, come di fatto è diventato il teatrino elettrico, ormai ultrapiatto, che tutti abbiamo in casa, acceso dalla mattina alla sera.
Entrare in quella galleria-tempio è come partecipare ad un rito di bellezza: mirare i quadri di Corrima (è questo lo pseudonimo di Corrado Marra) significa redimersi dai problemi, dalle angosce, dalla nostra finitezza che c’inchioda a terra. In questa galleria di quadri e di installazioni artistiche tutto diventa magia, incanto, Sud.
Antonio Mellone
giu122010
Sarebbe facile ormai fare qui la solita sviolinata sul Sud: il Sud come tribuna numerata, da contrapporre al nord, folta gradinata. Sarebbe facile fare una specie di leghismo capovolto. Ma non c’interessa. Qui è importante raccontare esperienze e sensazioni, vita ed emozioni.
Chi scrive ha frequentato per anni questa sorta di curva nord, vivendo lontano dalla terra che gli diede i natali. Ma lo sguardo è sempre stato puntato verso Sud, come l’ago di una bussola che non risponde alla sua legge, ma che gli volta le spalle.
Lontano dalla tua patria inizi a capire e tollerare i limiti di chi non parte, di chi resta imbullonato a casa, precludendosi però la possibilità della conoscenza, dell’esperienza del fardello della lontananza.
Non tutti hanno la possibilità di ripercorrere la strada del ritorno verso quella calamita (senza accento finale) che è il mezzogiorno. Non a tutti è concesso il dono della forza di gravità permanente e di attrazione verso una casa che ha la pazienza ancestrale di aspettarti, a volte senza cambiar nulla di quello che hai lasciato. Per tanti (non per tutti) che se ne allontanano, il Sud diventa come una stella cometa che indica la strada del ritorno, un percorso da seguire con passo svelto, vincendo il tempo che logora e schiaffeggia la nostra vita transeunte.
A volte il Sud è scempio, è cemento e brutture (anche sul mare), è sud-icio, è sud-ditanza, è cafoneria consumistica (che non ha latitudini). Ed il brutto, i mostri edilizi, il cemento e l’asfalto in nome dello “sviluppo” sono già di per sé istigazioni a delinquere.
Chi pensa che la crescita venga spinta dalle costruzioni, dai villaggi turistici, dal turismo di massa, dal consumo senza freni, di fatto sta uccidendo la gioia di una geografia, e sarebbe meglio che dicesse una volta per tutte “I leave Sud” (me ne vado), piuttosto che, ipocritamente, “I love Sud”.
Per troppo tempo la storia del Sud è stata raccontata nei tribunali; sarebbe ora che si raccontasse nelle scuole, nelle università, nel cinema, nella pittura, e senza alcuna lagnanza o piagnisteo. Per combattere la criminalità sono molto più efficaci il cinema, i teatri, le librerie o le gallerie d’arte, rispetto una caserma con un’intera compagnia di Carabinieri armati fino ai denti (come invece i manigoldi al potere vorrebbero farci credere).
Il Sud deve ritornare ad essere bellezza, arte, benessere.
E questo è possibile soltanto con quel grande capitale, con quella vera ricchezza che è la cultura, l’investimento che riesce a darti i dividendi più alti.
La galleria di Corrima è un grande investimento di tempo e di pensiero. Essa diventa sempre più un centro sociale, un luogo di riscatto di chi per fortuna o per coraggio ha deciso di non dimettersi dal Sud.
Quando varchi la soglia d’ingresso di questa pinacoteca miracolosa ti trovi di fronte ad un mondo che senti che ti appartiene per chissà quale strampalato marchingegno. Ti trovi di fronte ad un campo, che diresti di girasoli, ma non è di Van Gogh; mentre dal davanzale di un quadro sembra affacciarsi (e spiarti) una donna, ma con quel collo allungato non è di Modigliani; da un altro ti appaiono i mughetti ed i fiori verdi e blue cobalto, ma non sono di Chagal. Sono tutte le creazioni d’Arte di Corrima.
Di fronte a queste pennellate il girasole sei tu, ed i soli che sanno di Puglia e di Salento sono i quadri estratti dalla tavolozza del tuo amico Corrado che ha creato anche i cavalli puro-sanguigna, le casse armoniche dalle quali ti sembra di sentire le note di una banda musicale che intona un’opera, le fiere che sembrano fare girotondo, le danze delle donne salentine che non sapresti dire se sono pizzicate dalla taranta o dalla gioia di vivere, e poi ancora cigni-tulipani (o gru o cicogne) che sembrano piovere dall’alto o ascendere nell’alto dei cieli a schiera larga e piena…
Quando incontri Corrado ed i suoi quadri, digli allora senza indugio: “Chi ritorna al Sud si risarcisce del danno dell’ombra; chi va verso il sole meridiano, viene alla luce”.
Nei quadri di Corrado Marra trova posto la fantasia, il colore, il calore e la luce del mattino senza fine. Non servono altre fonti a rischiararli: s’illuminano da soli. Anzi, irradiano chi avesse la ventura di mirarli.
Antonio Mellone
giu142010
giu152010
Antonio Mellone