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Non consumiamo suolo, salviamo la nostra terra
Di Redazione (del 13/03/2013 @ 19:16:34, in NohaBlog, linkato 2442 volte)

Qui la legge ” Galasso ” è stata a lungo un’opinione, un’omissione che ha legato in un patto scellerato imprese, proprietari e amministratori. Ma forse il resto del Salento è per fortuna ancora da salvare e questi mostri si ergono come monito a non inseguire più l’incubo. Le calve alture di calcarenite sono state sommerse da una sfacciata metastasi di cementi. Un Salento come la pelle di un leopardo, ma vista in negativo, adagiata sul cobalto e sullo smeraldo del mare. Questa l’immagine del nostro territorio guardato dall’alto, con le macchie bianche costituite dai centri abitati che tempestano quasi uniformemente, tranne vaste aree di campagna ” pura” a sud e a nord-ovest, un tavolato giallo punteggiato di uliveti. Le credevamo messe male le nostre coste; le pensavamo ormai irreversibilmente offese dalla smania edificatoria. E lo sono, anche se questa terra è ancora in gran parte bellissima nonostante le ferite profonde infertele a colpi di tondino di ferro e mattoni forati. Una lunga, immensa colata di cemento; una giostra beffarda e volgare di case ammassate senza criterio, di strade asfaltate che vanno a perdersi sterrate in una campagna retrostante dove altre decine, centinaia di monolocali originariamente concepiti per uso agricolo attendono l’occasione per un ampliamento e per un condono. Ciascun paese è una casba abbarbicata intorno alla propria chiesa e al proprio campanile; ciascuna ha una sua geometria di curve, di giravolte, di cardi e decumani modificati nei secoli. Ma sono queste topografie pittoresche la vera fisionomia della nostra provincia. Un codice visivo che per fortuna i grandi assi viari non sono riusciti né a stravolgere né a marginalizzare, come invece è avvenuto in Calabria o in Sicilia. E’ un Salento, questo interno, la cui bellezza salta agli occhi. Il resto è un tratturo sterrato di fango, polvere e, laddove brandelli di dignità umana e scampoli di autosufficienza civica sopravvivono. Colate di cemento stese alla meglio direttamente su quello che prima era uno dei suoli agricoli più fertili del Mezzogiorno. Un dedalo di edifici venuti su dal nulla e puntualmente risanati in barba agli appelli degli intellettuali, alle mobilitazioni degli ambientalisti, ai moniti dei geologi.

Raimondo Rodia

 

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