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Nico Mauro e il lievito padre
Di Antonio Mellone (del 24/11/2024 @ 15:51:09, in Recensione libro, linkato 63 volte)

Quando si dice la combinazione. Proprio la mattina del 4 ottobre scorso, giorno del transito di san Francesco, e ugualmente di quel francescano scalzo che era mio papà Giovanni - il quale appunto mi aveva salutato giusto un anno prima - mi chiama Nico Mauro: “Ti devo dare una cosa. Quando ci vediamo?”. E io di rimando: “Sei con noi stasera a teatro, al concerto inaugurale di Levéra?”. E lui, concettoso e stringato come sa essere nei suoi versi: “Sì. Allora a dopo”. Avevo già fatto due più due, e dunque capito che l’oggetto del convegno tra me e il poeta compaesano era la sua ultima creatura, vale a dire la cantica fresca cioè ancora calda di rotativa tipografica dal titolo “Ti  parlo con il pane”, volume di Les Flaneur Edizioni, Reggio Calabria, giugno 2024, 86 pagine, presentata qualche settimana prima a Galatina nell’antico chiostro della basilica di Santa Caterina.

E così fu. Dopo i saluti e due parole due sul concetto di Giustizia, che forse è un tantino meglio di quello direi decisamente abusato di Legalità (onde di fronte a leggi ingiuste – come convenuto in quel conciliabolo da foyer - la disobbedienza civile dovrebbe essere una missione), la gentile consorte di Nico, sempre troppo buona con me anche quando attacco i miei ormai proverbiali bottoni, tira fuori dalla sua borsa il suddetto volumetto, lo passa al marito che a sua volta me lo porge in dono con un lapidario: “Non chiedermi dediche eh, leggilo e basta”.

Dovete sapere che prima ancora di leggerli e sottolinearli, e poi far le orecchie alle pagine per segnacolo, i libri io li annuso ben bene. Mo’ non vorrei esagerare, ma questo n-esimo tomo nicomauriano profuma di pane. Dico: letteralmente, oltre che letterariamente. E non per la suggestione del titolo di copertina, ma per il fatto che Nico Mauro è da un bel pezzo un bravo fornaio di parole: le tempera come si dice da noi, le impasta, le schiana, ossia le stende sulla mattra-banca, a volte le prende pure a pugni, e prima di infornarle nella forma voluta le fa lievitare naturalmente, sicché appena sfornate te le mette sotto il naso e tu non puoi fare a meno di sentirne la fragranza, e quindi prenderle e addentarle apprezzandone crosta croccante e pasta morbida. Solo che stavolta per il processo di panificazione il Mauro ha usato il lievito Padre: ed ecco il sincronismo di cui parlavo alla prima riga di queste note, l’invisibile filo conduttore in grado di creare connessioni tra cose apparentemente disparate ma fortemente collegate fra loro. Sì, perché quando leggi “mi rifugio ancora nelle tue cose”, o “l’ultimo pensiero non ha mai il suono della parola”, oppure “riappari ad ali ferme sul mio capo in cerca della tua sosta”, e ancora “nulla dissuade l’altra mia voce” (in effetti è proprio testarda, mannaggia sua), e udite udite: “la profonda vecchiezza che avverto solo per non essere più figlio” (a chi lo dici, Nico mio), ma anche “c’era bisogno che ti scrivessi per poterti rivedere” (potenza del verbo incarnato e scritto), ovvero “bisognerebbe morire alla fine della vita” (see, ‘na parola); e quando infine t’imbatti in unità metriche tipo “resta dove sei, ma stammi vicino” e “tu saprai aspettare il mio arrivo”, con il groppo in gola capisci che “molte persone sono rimaste fuori da questi versi”, ma tu no, tu ci sei dentro fino al collo: quelle pagine non le ha scritte per sé e per il suo babbo, ma per te e per Giovanni tuo, il quale, negli ultimi tempi – piangi ancora al pensiero - dormiva in un lettino dove un tempo era piazzata la tua culla. E mentre preghi l’amico aedo con un “dacci oggi la nostra pagina quotidiana”, ti rivolgi ai lettori di questi appunti (quelle due paia che saranno) per ripeter loro quello che il padre, quand’eri piccolo, t’aveva insegnato di dire agli astanti in segno di buona creanza prima di addentare il tuo pane e pomodoro: “Favorite”.

E quelli favorivano.  

Antonio Mellone

[articolo apparso su Galatina.it]

 

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