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Lezione di disorientamento
Di Antonio Mellone (del 18/03/2018 @ 14:40:49, in NohaBlog, linkato 1510 volte)

Non mi piace chiamarli di Orientamento ma di Disorientamento. Mi riferisco agli incontri che ogni tanto tengo con i ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado.

Credo sia più corretto dir loro che esistono certamente delle strade da percorrere, magari già battute da altri, ma più spesso dei fuori pista molto interessanti; che se si sceglie un indirizzo non è detto che poi non se ne possa (intelligentemente) far marcia indietro; e che solo lottando per l’impossibile (il lemma lotta è voce del verbo amare) potranno aumentare in maniera esponenziale le probabilità di realizzarne un pezzo ogni giorno.      

Ebbene sì, stavolta l’invito a ritornare sui banchi di scuola mi è giunto da parte del prof. Fernando Seclì dell’Istituto Tecnico Commerciale “Cezzi De Castro” di Maglie. Parlando del più e del meno con questo insegnante dalle ampie vedute, scopro che “per entrare a scuola” il Seclì ha vinto il Concorso Pubblico per Docenti indetto dal Ministero (Miur) nel 2012/2013. Guarda caso proprio quello stesso (e per la medesima classe A017, cioè Discipline Economico-Aziendali)  nel quale mi cimentai anch’io, superandolo finalmente insieme a lui e a un’altra ventina di concorrenti.   

Benché l’insegnamento fosse (anzi sia) da sempre uno dei miei hobby preferiti (oltretutto molto utile, in quanto il miglior metodo per imparare le cose è insegnarle), decisi poi di rimanere in banca, giacché diverse sono le cattedre dalle quali si può, come dire, lasciare un segno (etim. di Insegnare).

Perché mi sottoposi a uno studio “matto e disperatissimo” per superare una selezione così ardua che aveva sin dall’inizio tutta l’aria di una falcidia (all’inizio i candidati erano all’incirca 1500 nella sola Puglia) è presto detto: e cioè per non deludere lo spiritoso detrattore di turno che dunque, da allora, quando mi dà del “professore” può farlo risparmiandosi tranquillamente le virgolette.  

Ma veniamo all’incontro con gli allievi del Commerciale di Maglie, incontrati in due gruppi (un primo composto dalle terze classi, un secondo dalle quinte) nel corso di altrettanti seminari di un paio d’ore ciascuno, tenuti in collaborazione con il mio collega, il direttore Fabio Scaglioso della filiale di Maglie [sapete, spesso i bancari son costretti ad andare in due: uno sa leggere, l’altro non sa scrivere, ndr.].

Ebbene, c’è da rimaner piacevolmente impressionati per la curiosità, la partecipazione e il coinvolgimento degli studenti di Maglie e soprattutto per il loro contributo al dibattito in aula attraverso domande e risposte mai banali, anzi il più delle volte sagaci e mordaci. E questo – ne convenivo con il collega – è il più bello e giusto guiderdone per il nostro non semplicissimo impegno.

A me piacerebbe che, al di là delle nozioni di Economia, ai ragazzi incontrati rimanesse impresso il fatto che si studia per un bel po’ di ragioni. Che butto così in elenco senza un preciso ordine di apparizione: per dignità, per esser liberi, per non perdere il diritto allo studio causa prescrizione, per ripensare le cose che ci dicono, per poter distinguere il vero dal falso, per essere egregi (più che gregge), per cambiare prospettiva, per evitare di accontentarsi del solito piatto di lenticchie, per valorizzare anziché svendere la propria terra, per esercitare i neuroni che rischierebbero altrimenti l’atrofia, per rompere le righe (e quando serve anche le scatole o qualcosa d’altro un po’ più sferico), per divertimento, per essere in grado di fare satira (o quanto meno di capirla), per conseguire l’idoneità magistrale nel disturbare il manovratore, per fare la rivoluzione, per aver coscienza di classe, per non badare ai cartelli “vietato sporgersi” (e dunque per poter contare magari di più mettendoci la faccia), per essere qualcuno più che per aver qualcosa, per svignarsela dai centri commerciali, per aver dimestichezza con le parole (limitando così il consumo abnorme di emoticon sui social), per nutrire i dubbi più che le solite stucchevoli certezze, per arrivare a capire di non sapere nulla e dunque per coltivare l’ignoranza ma solo se diventa sete di conoscenza.

Si studia inoltre per saper cogliere le grandezze e capire le differenze [in caso contrario, con la complicità di giornali, giornaletti e tele Orbi  sponsorizzati, si rischierebbe di ritenere più grave la pirlata di una scritta No-Tap su di un muro che non la sciagura di una multinazionale invadente, anzi occupante la nostra terra con il beneplacito di governi, politicanti e cortigiani di corvée, ndr.].

Si studia, infine, per evitare di somigliare a certi cataclismi locali, sedicenti “politici” con velleità addirittura parlamentari, tutti presi, come sono (stati), oltre che dalle loro puntuali incessanti trombature elettorali soprattutto dalle loro inenarrabili figure di merda.

Antonio Mellone

 

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