Qualche portatore sano di cultura (nel senso che ne parla in continuazione senza esserne minimamente affetto), in buona compagnia con le solite grandi menti locali, ne ha sparata un’altra delle sue a proposito della vecchia scuola elementare di Noha. Sentite questa: la colpa di eventuali atti vandalici a quella benedetta struttura sarebbe nostra, cioè di noi altri che da un bel po’ stiamo rompendo l’anima su questo tema. Dunque sarebbe nostra la responsabilità nel caso in cui dovessero accadere degli atti vandalici alla struttura de quo testé “restaurata” (è d’uopo, per ora, vergare certe parole grosse con le virgolette, almeno fino a quando la struttura non verrà finalmente aperta al pubblico con tutti i carismi), non in quanto mandanti diretti di scelleratezze criminali, non perché si potrebbe cogliere nelle nostre parole istigazione al vandalismo nichilista, non perché il nostro interesse recondito sarebbe quello di una novella distruzione del lavoro fin qui “gregiamente” (senza la e) svolto, ma semplicemente perché ci siamo azzardati ad evidenziare il problema, e dunque avremmo svegliato il can che dorme (ma secondo il nostro modesto punto di vista i cani che dormono sono ben altri).
I nostri ghirigori di parole, secondo gli scienziati locali, non avrebbero fatto altro che accendere i riflettori (senza Enel purtroppo) sulla struttura della vecchia scuola elementare di Noha, sicché avremmo dato una buona idea, anzi un’occasione propizia al vandalo di turno, risvegliandone i sopiti impulsi. Il vandalo/vangàle, dunque, che non sapeva dove sfogare per prima i suoi istinti più truculenti ha avuto finalmente l’illuminazione (e ridaje) dopo aver letto in Internet i nostri trafiletti di denuncia, ed avrebbe poi deciso di dare il suo colpo di grazia (o di disgrazia a seconda dei punti di vista), infierendo su di un bene così appartato, così sperduto, così introvabile e quasi invisibile che non gli sarebbe mai venuto in mente se nessuno glielo avesse indicato scodellandoglielo sotto il naso. Dunque per questi matematici nostrani, facendo due più due il risultato non può che essere uno: il vandalismo eventuale sarà in correlazione diretta con la nostra attività di denunzia.
Se invece non ne avessimo sollevato il polverone, nessuno avrebbe saputo nulla e nessuna pulce sarebbe mai stata piazzata nell’orecchio di teppisti e saccheggiatori. Davvero una logica ferrea, un ragionamento impeccabile, un’inferenza da statistici rigorosi.
Ma sì, in fondo, i vandali siamo noi. Che ci viene in mente di dire urbi et orbi (e perfino in televisione, quando verrà) che a Noha si rischia di buttar via dei soldi pubblici. Anziché far nostro il “sopire troncare, padre molto reverendo, troncare sopire” di manzoniana memoria, anziché lavare i panni sporchi in casa nostra, o nel canale dell’Asso, possibilmente insabbiando il più possibile, ci mettiamo a dire che qualcuno non ha fatto fino in fondo il suo dovere. Ma che cittadini insolenti che siamo; che razza di gente per nulla pragmatica.
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Veramente di corbellerie sesquipedali di questa stazza avevamo già avuto sentore in più di qualche occasione. Una di queste fu a proposito del bene culturale più particolare di Noha (veramente lo sono un po’ tutti, particolari): e cioè lo chalet fulvo, la rubiconda “casa pedrera” nohana, quando ne parlammo tanti anni fa per la prima volta. Secondo un autorevole personaggio locale, se avessimo taciuto, come per incanto, nessuno (soprattutto le tarme) avrebbe manomesso la lignea porta d’accesso alla casa rossa, come pare talvolta qualche pirla s’azzardasse di fare.
Sì, come no: se avessimo fatto finta di nulla la casa rossa e gli altri beni culturali sarebbero ora stati restaurati e resi fruibili in quattro e quattro otto, secondo un equilibrio pubblico-privato virtuoso, ideale, perfetto. Se non ne avessimo trattato nel catalogo dei beni culturali, se non se ne fosse parlato in “Salento d’Amare”, prima, e in “Terra tra due mari”, poi, nessun proprietario privato avrebbe costruito villoni bifamiliari da Beverly Ills nelle loro immediate adiacenze, e nessun muro di Berlino con cuccetti di tufo (benché, ci auguriamo, temporaneo) sarebbe stato innalzato alle spalle della porta d’ingresso di quella casa prospiciente la pubblica strada. Se noi sottoscritti rompiscatole non avessimo steso articoli e pubblicato libri, se non avessimo indetto convegni, raccolto firme, girato documentari, promosso visite guidate, la Sovrintendenza avrebbe apposto il suo vincolo di propria iniziativa, automaticamente, per opera dello Spirito Santo paraclito, e dunque finanche il frantoio ipogeo si sarebbe scoperto da solo, rivelato da sé, e si sarebbe pure restaurato e (giacché c’era) si sarebbe anche trasformato in un battibaleno nel museo nohano di civiltà contadina; la torre medievale si sarebbe ristrutturata, illuminata, recuperata dall’abbandono e dall’oblio per mano di una joint-venture miracolosa e inedita; il castello sarebbe da un bel pezzo aperto al pubblico (ovviamente con tutto il parco degli aranci) per mostre, incontri culturali, spettacoli di musica e teatro per grandi e piccini; se avessimo taciuto ancora per un po’, le sozzure pervicacemente portate avanti dagli uomini del fare, alcuni beni culturali sarebbero stati ugualmente restaurati a regola d’arte (sì, campa cavallo)…
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Ecco, alla fine i vandali siamo noi quando denunciamo il declino ed il degrado dei nostri beni culturali; e siamo noi quando smascheriamo le schifezze che vengono perpetrate alla nostra storia, alla nostra cultura ed alla nostra natura; siamo ancora noi i profeti di sventura quando leggiamo i segni della decadenza che sarà (anzi che è già) per prevenirne le cause o per curarne gli effetti e mai per propagarne la cancrena; siamo noi e le nostre considerazioni a buon mercato i vandali (e gli antipolitici) nonché i responsabili dei tumori che ci stanno devastando quando denunciamo il CDR e le mille lordure, onde il nostro territorio è stato trasformato in una discarica in nome dello “sviluppo e del progresso”; e siamo affetti da insolazione quando denunciamo la truffa del fotovoltaico selvaggio in mezzo alla campagna, operazione che stiamo già pagando caro (ed i suoi costi aumenteranno a dismisura in futuro per tutti noi). Siamo infine “estremisti” quando incriminiamo i lucchetti (questi sì moderati) che negano un passaggio (soprattutto mentale) che è anche tuo, e le serrature che negano l’accesso e la fruizione di un bene culturale. Il quale per definizione dovrebbe essere di tutti, e mai di pochi, o di uno solo.
Non sappiamo se qui siamo nel campo del codice penale (o penoso) o del codice civile (o incivile). Ma a questo punto un reato da smascherare c’è di sicuro. E si chiama schifo.
Antonio Mellone