"E’ da questa mattina che ti vedo sbuffare e borbottare … 'cce sta 'tte succede?" - disse il nonno al giovane nipote che, dalle prime luci dell’alba, lo stava aiutando nel sistemare i tralci e nell’estirpare le erbacce per preparare il vigneto all’ormai prossima vendemmia.
"Mi sono stancato e non mi piace lavorare!" - fu la lamentosa risposta del ragazzo.
"Aaahhh …. ma lavorare è necessario" - disse il nonno che, con la schiena china, proseguiva a legare i tralci ai fili passanti tra le viti - "’Nnu sulu pe’ tie stessu, per vivere, ma anche per gli altri. Immagina tie cosa accadrebbe se, d’un tratto, tutti smettessero di lavorare. Il mondo si fermerebbe! Non solo non si andrebbe avanti, ma anche tutto quello che nel passato è stato realizzato non durerebbe a lungo e alla lunga andrebbe distrutto".
Il nipote per nulla convinto ribattè prontamente – "Ma io non dico che gli altri non debbano lavorare … solo io … e da grande vorrei trovare un modo per far soldi velocemente e senza fatica".
Il nonno si fermò, rizzò la stanca schiena e lo guardò a lungo, intensamente – "Sai … tantu tiempu fà conoscevo uno che aveva come unica fissa intra la vita quello di guadagnare soldi in modo facile, senza cu se li suda e senza alcun impegno. Uno a cui la fatia puzzava, come ora accade a te, solo che …".
Il nipote con tono interessato interruppe il nonno chiedendo – "E ci riuscì? Dimmi nonno! … Dopo tutto non sono l’unico ad aver questo desiderio?".
Il nonno con un saggio sorriso che gli attraversava il viso disse – "Se hai pazienza, e mentre mi continuerai ad aiutare in quello che siamo venuti a fare, te cuntu la storia, così accontenterò la tua curiosità".
Così tra un tralcio da legare e un fascio d’erba da estirpare …
Tanto tempo fa viveva nel nostro Casale un uomo il cui unico impegno durante il giorno era quello di alleggerire le tasche dei propri compaesani, con ogni possibile stratagemma, ingannando la loro buona fede e approfittando del loro buon cuore. Se questo era quello che faceva durante il giorno, la notte la impiegava a pianificare ogni possibile sotterfuggio e furbizia da mettere in atto per il giorno successivo. Di trovare un onesto lavoro non ne aveva mai avuto voglia. La moglie, che non ne poteva più di quella malsana dedizione del marito, lo aveva da tempo lasciato ed era tornata a casa dei suoi genitori, dopo che un giorno approfittando dell’assenza di lei, quel malandrino aveva venduto tutta la dote ad un mercante di passaggio, lesto nel fiutare il buon affare.
Cosa facesse di tutto quel denaro che gli entrava in tasca nessuno lo sapeva. Non si vedeva nelle osterie a bere un bicchiere di vino e, raramente, compariva nelle botteghe del paese a comprare qualcosa. Anzi, quando ciò accadeva, si dilungava in tali e tanti mercanteggiamenti sul prezzo che i bottegai restavano ogni volta sfiniti e speravano che si tenesse lontano dai loro affari.
Ma come spesso accade, così come nel mondo, a ben pensare, non c’è limite alla bontà, anche per la malevole furbizia vi è una scala infinita che conduce verso il basso e, per quanto uno cerchi di esser cattivo, prima o poi, qualcuno più maleintenzionato lo si incontra sempre.
Un bel giorno nel paese comparve uno strano individuo, vestito come un indiano e con un turbante in testa. Affermava di essere un indovino, capace di prevedere il futuro e soprattutto di dispensare ottimi consigli che, se seguiti alla lettera, potevano far diventare chiunque molto molto ricco. Questo era quello che si poteva leggere su di un grande e sbiadito cartello posto all’esterno della sua tenda.
Incuriosito da quanto si raccontava di questo personaggio nei crocicchi per le strade, e mosso da questa sete insaziabile per i soldi, l’uomo decise infine di andarlo a trovare per interrogarlo. La domanda che gli pose non poteva che esser la seguente – "Dimmi cosa devo fare per diventare ricco … ancora più ricco …. ma, sia ben inteso, senza che sia necessario lavorare!".
L’indovino rimase in silenzio a lungo, tanto che l’uomo pensò che si fosse addormantato e stava per alzarsi e andarsene quando, infine parlò – "Quello che mi chiedi è possibile, ma richiede un enorme sacrificio che nessuno sino ad oggi è stato in grado di portare a compimento. Ascoltami bene!
Devi procurarti un neonato e lo devi portare con te nel punto più in alto di questo paese. Lì sollevandolo in alto dovrai invocare il diavolo affinché moltiplichi all’infinito quanto tu ora possiedi e ti indichi la via e il luogo per trovare nuovi e più ricchi tesori. Dovrai poi tornare a casa, recando con te il piccolo e, dinanzi ai tuoi risparmi dovrai ripetere la stessa invocazione. Non dovrai nuovamente toccare i tuoi soldi, lascia la tua casa senza rimettere a posto le tue cose. La porta deve restare aperta, per consentire al demonio di farvi ritorno al termine del rito affinché ti possa render ricco come tu desideri. Torna sul punto più in alto e, dopo aver nuovamente chiamato a gran voce il diavolo affinché ti sia da testimone delle tue intenzioni, devi sacrificare il neonato. Solo allora l’oscuro angelo caduto ti mostrerà il luogo dove potrai trovare infinite ricchezze. Ascolta! ti voglio avvertire … sino ad oggi nessuno è ancora riuscito nell’impresa e, devi sapere, il diavolo è un padrone molto esigente. Guai a disturbarlo invano!".
Nonostante l’odiosità dell’atto richiesto, l’uomo per la prima volta nella sua vita sembrò veramente felice. Pagò il dovuto senza contrattare sul prezzo e andò via con l’unica preoccupazione di poter trovare un neonato che facesse al caso suo, quanto prima possibile.
Preoccupazione ben fondata. In effetti la sua nomea per il Casale era tale che mai nessuno, neanche il più sprovveduto, gli avrebbe affidato un bambino, figurarsi un neonato. Così ogni notte, dopo aver invano gironzolato alla cerca per tutto il giorno, andava sul tetto di una vecchia masseria posta sul punto più alto del paese e lì passava ore ed ore ad immaginarsi straricco, circondato di servitori, temuto e rispettato da tutti … salvo cadere un attimo dopo in depressione perché non riusciva a mettere in atto il folle gesto.
Andò avanti in questo modo per diverso tempo e, quando ormai sembrava che avesse perso ogni speranza, un bel giorno si accampò al limitare del paese una carovana di nomadi molto poveri e, tra questi, una famiglia con un neonato ricoperto con sfilacciati e sporchi panni.
Dopo aver pensato e ripensato, si decise ad avvicinare il capofamiglia con una scusa. Si presentò come un uomo timorato di Dio, colpito di recente da un tremendo lutto: la perdita del proprio figliolo pochi giorni dopo la sua nascita. Disse che sua moglie passava le giornate piangendo e che avrebbe voluto tanto adottare uno dei loro tanti figlioli, il più piccolo. L’avrebbero cresciuto come se fosse stato da sempre loro e non gli sarebbe mancato nulla. Queste parole fintamente piagnucolanti furono accompagnate dal tintinnare del denaro posto in una sacchetta legata alla cintola. Il povero capofamiglia fissò lungamente negli occhi l’uomo, quasi a volersi sincerare delle sue intenzioni, infine si voltò e andò a parlare con la moglie. Si discusse a lungo finchè, dopo tante rassicurazioni, pianti, preghiere, raccomandazioni, l’uomo ottenne quel che da giorni cercava; finalmente era entrato in possesso di un neonato.
La discussione si era protatta a lungo e ormai il sole era tramontato e all’orizzonte un’alta muraglia di nuovole nere cariche di pioggia si avvicinava velocamente sospinta dal vento. Pensò di non perder tempo e, stando ben attento a non farsi vedere da alcuno, con il neonato ben infagottato che placidamente e ignaro dormiva si avviò verso la masseria. Attese nascosto all’interno che la notte diventasse ancora più buia. Le nubi avevano ormai oscurato la luna e un sordo rumore di tuoni si udiva in lontanza. Salitò sul punto più alto dell’edificio, iniziò a pronunciare le parole che gli erano state insegnate dall’indovino. Tra folate di vento e brevi raffiche di pioggia andò poi dritto di filato a casa e, tolti i risparmi dal nascondiglio in cui li teneva solitamente riposti, ripetè le malvagge parole. Senza nuovamente toccare il denaro, né altro oggetto presente in casa come gli aveva prescritto l’indovino, uscì di corsa e si diresse nuovamente verso la masseria per compiere l’atto finale. Tuoni e lampi si alternavano nel cielo e la pioggia, dapprima timidamente, iniziò a cadere incensantemente. Il vento si era trasformato in tempesta e tra le fronde degli alberi ondulanti faceva sentire la sua forte voce. Pareva quasi che tutti i diavoli presenti sulla terra e sotto terra si fossero dati appuntamento in quel luogo. Ma l’uomo, per nulla timoroso, rideva. Rideva ormai a voce alta. Sentiva finalmente che quanto da tempo agognato, quella notte sarebbe finalmente accaduto. Arrivò a pensare che, con tutte le ricchezze che avrebbe posseduto, anche lo stesso diavolo si sarebbe dovuto inchinare al suo cospetto. Avrebbe conquistato la vita eterna.
Ormai immerso in questo delirio, attraversò lo sgangherato portone della masseria, percorse velocemente le buie stanze illuminate ad intermittenza dalle saette dei fulmini, salì velocemente le scale, arrivò sull’ultimo pianerottolo e … tutto divenne improvvisamente buio.
Era ormai mattina inoltrata quando riaprì gli occhi trovandosi disteso per terra, con i vestiti bagnati per la pioggia e con la testa dolorante. Ma cosa era successo? Che avesse compiuto qualche errore nel rito? Che il diavolo avesse ascoltato i suoi pensieri e lo avesse punito? Ma, soprattutto, dove era finito il neonato?
Iniziò a disperarsi e ad invocare il diavolo convinto di averla fatta grossa chiedendo il suo perdono. Ma niente, nessun segno di alcun genere gli giungeva. Alla fine, piegato dal dolore e dallo scoramento, si decise a tornare a casa. Alla peggio gli rimanevano comunque i suoi cospicui risparmi e alla prima occasione avrebbe nuovamente tentato, sperando in un perdono del diavolo.
Ma giunto dinanzi a casa, nel vedere la porta aperta come lui l’aveva lasciata, uno strano presentimento lo fece intimamente, ancorpiù che fisicamente, traballare. Corse in casa, si diresse verso lo sgabuzzino e, dove la sera prima aveva lasciato in bella vista la sacca con i suoi risparmi … niente!
Stramazzò per terra e un improvviso pensiero gli attraversò la testa. "Quegli occhi, quegli occhi … ora ricordo … maledetto indovino!". L’uomo aveva infine capito di esser stato raggirato. Quello che si era presentato come il povero capofamiglia e l’indovino, incontrato nei giorni precedenti, altri non erano che la stessa persona. Non era stato il diavolo a colpirlo in testa, bensì qualcuno ben appostato al buio, che non si era fatto scrupolo di mettere in pericolo un neonato pur di compiere la sua malefatta. Lui il più furbo, lui il più cattivo, lui quello senza scrupoli … era stato raggirato da qualcuno peggio di lui.
Il delirio di onnipotenza della sera prima si trasformò ben presto in follia. Lo si vedeva girare per le strade e per i paesi vicini, urlando maledizioni e fermando chiunque gli fosse a tiro chiedendo che se avessero visto la carovana dei nomadi. Ma non ottenne alcuna notizia utile. Pareva esser sparita nel nulla e con essa anche il suo denaro.
Le notti saliva sul tetto della masseria e lo si poteva sentire urlare al cielo minacce o vederlo piagnucolante in ginocchio invocare il perdono del diavolo. Così passò il resto della sua vita, affogato nel suo insano dolore e via via sempre più smagrito. Finché, un giorno, di lui non si ebbero più notizie.
Ancora oggi se si passa nei pressi dell’antica masseria nelle notti di tempesta, tra i mugugni del vento si può udire la sua malvaggia voce e una strana ombra gesticolante aggirarsi per il tetto.
Il nonno pose con fare protettivo il suo braccio sulle spalle del nipote e tirandolo amorevolmente a se disse - "Hai sentito a cosa può condurre un uomo la fame insaziabile per il denaro? E’ giusto aspirare ad una vita migliore, e dare il meglio di se stessi per poterla ottenere, ma senza calpestare e ferire gli altri, e senza annullare la propria coscienza".
I due rimasero a lungo in silenzio. Infine il nonno riprese a parlare - "Dimmi, cosa intendi fare ora?".
"Abbiamo un vigneto da sistemare, bene e presto" - rispose il giovane. "Al lavoro, che la vendemmia è prossima e deve essere tutto pronto per quel giorno".
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Ogni paese, ogni antico luogo tramanda storie di tesori nascosti, di "acchiature". Storie solitamente condite con riti satanici, o presunti tali, di ostie consacrate date da mangiare ad animali, di sacrifici, di tentati raggiri al diavolo e di sicure punizioni divine.
A Noha tempo addietro mi era stata accennata una storia di questo tipo riguardante Masseria Colabaldi e che mi è stata di ispirazione nello scrivere questo racconto.
La Masseria è sorta nel '500; sul portale è infatti riportata la data del 1595.
Ma il sito si ritiene sia stato frequentato in età ancor più antica, forse già ai tempi dei romani. Questi avrebbero costruito una torre di avvistamento, successivamente utilizzata dai monaci basiliani che la adattarono a convento e che costruirono la Chiesa di San Teodoro, ora inglobata all’interno della struttura rurale.
Come tutte le antiche masserie del Salento, il sito è indubbiamente suggestivo, tanto che negli anni scorsi le associazioni cittadine e gli abitanti di Noha hanno realizzato all’interno un bellissimo presepe vivente.
La struttura è di proprietà privata e l’area in cui si trova prevede la costruzione di edifici di edilizia residenziale. C’è da sperare che il contesto non venga stravolto e che si prendano tutti gli accorgimenti necessari per limitare l’impatto ambientale e visivo sulla zona. Quanto la struttura possa essere in futuro, come in passato, nella disponibilità delle iniziative della collettiva di questo piccolo ma attivo centro salentino, resta tutto da capire.
di Massimo Negro