Oggi mi rifiuto di comprare il giornale e di accendere la TV. Oggi mi rifiuto di essere pilotato su immagini strazianti, considerazioni raccapriccianti, racconti appassionati. Oggi pretendo il silenzio per celebrare l’ennesima disfatta dell’incuria dell’uomo sulla natura. Voglio spegnere il brusio stomachevole che puntuale segue eventi di questa portata e riflettere da me, senza alcun condizionamento, su quanto è accaduto a Genova (e poi di rimando in Lunigiana, Roma, L’Aquila e così indietro nel tempo, perché la storia come si sa non è nuova).
E nel silenzio rifletto: basta davvero poco per sentirsi al sicuro, è sufficiente saperci in uno spazio, in un contenitore, separati dal resto del mondo da effimere barriere di legno, cemento, tufo o pietra. Ignoriamo d’essere solo povere creature nude e insignificanti dinanzi al mistero dell’universo, in continua ricerca di spazi delimitati, chiusi, accaldati, poiché riteniamo che è solo in questi scatoloni vuoti e bui che riusciamo ad avere la sensazione di “esistere” nel creato. Abbiamo inconsapevolmente ripudiato l’idea di “essere” parte del creato stesso e spendiamo la nostra vita a rincorrere quel po’ di solitudine in grado di tirarci fuori dal mondo che ci scorre addosso. Ci aggrappiamo alle cose effimere pur di non farci trascinare dalla corrente e costruiamo immense opere di cemento dietro le quali nascondere le nostre fragilità.
Aver paura della natura è una sciocca convinzione plurisecolare e pensare che quattro mura scrostate che ci separano dal mondo siano sufficienti a proteggerci da tutto, un gioco di luci e ombre, un’illusione. Ma da cosa fuggiamo allora? Perché la nostra casa ci infonde nel cuore quel grande senso di sicurezza che ci permette poi di affrontare con serenità i problemi della vita? A cosa dobbiamo questa perdita di fiducia negli spazi aperti, questa agorafobia compulsiva che ci porta a preferire una serata in casa davanti al televisore a una bella passeggiata in riva al mare o in montagna? La solitudine è la chiave di questi tempi moderni. La sensazione di essere soli e distanti dal mondo che ci regala una trasmissione televisiva è incomparabile con quella di appartenenza all’universo che ci infonde una serata di luna piena. E tuttavia schiviamo volentieri la possibilità di sentirci parte della natura, pur di non provare per un istante il brivido della fragilità e della limitatezza.
La lastra di cemento che si diffonde incontenibile come macchia d’olio sulla nostra terra è sufficiente per riempirci l’animo di soddisfazione e di orgoglio, disegnare sul nostro volto quel falso sorriso che solo l’effimero valore del dio denaro è in grado di elargire e farci salire su piedistalli di ghiaccio che si sciolgono ai primi bagliori dell’alba. Illudersi di poter sfuggire al mondo, di poter salire sulle spalle della natura per ammansirla: questo è il vero guaio dell’uomo. E si continuano a fare scelte scriteriate ancora oggi, pur di rimandare a domani l’amara constatazione che deturpando la natura non abbiamo fatto altro che darci con la zappa sui piedi.
Michele Stursi
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