C’è il carrozziere, il fruttivendolo, il titolare di una pescheria di lusso, il distributore di prodotti caseari rigorosamente campani, e pure il muratore, il contadino, l’idraulico, il pittore (di case, non ancora di quadri), l’addetto ai generi alimentari… Ma non stiamo parlando dei personaggi in cartapesta di un tipico presepe popolare, bensì dei maestri concertatori vivi e vegeti che hanno apparecchiato la greppia della Natività betlemita in miniatura, con tanto di dintorni sabbio-rocciosi, nel vestibolo della scuola materna di Noha, meglio nota come Asilo.
Si dà il caso che codesti artigiani-quasi-artisti abbiano acquartierato la grotta per il Bambino nel luogo dove i loro figlioli hanno iniziato a sperimentare i test tecnico-educativi di entrata in ruolo nella società. Per inciso qualcuno ha confessato, non senza un pizzico di commozione, che la cosa che più l’ha colpito nel rimetter piede in quella scuola materna a distanza di decenni, stavolta nelle vesti di padre non più di alunno, sono stati gli armadietti storici, e ancor di più l’atmosfera incantata e il profumo del tempo che fu [chissà perché a me invece colpisce ancora il palcoscenico, quello dal quale, durante un provino, sospinto spero involontariamente da una compagna di corso, capitombolai nella buca del suggeritore superando il record mondiale di bernoccoli, ndr.]. Ma ritorniamo a noi, ché le divagazioni potrebbero portarci in esilio, più che all’asilo. Insomma sono una quarantina, questi pargoletti, seguiti dagli insegnanti, e dalle quattro Suore Discepole di Gesù Eucaristico (congregazione presente a Noha dal 1957), che da qualche anno a questa parte si sono impreziosite dei colori dell'ecumene che ha valore di civiltà: voglio dire di consorelle provenienti da almeno tre continenti sui cinque esistenti (mancherebbero giusto l’Oceania e l’Antartide) con tutta la ricchezza culturale che questo comporta. Orbene, questi genitori (le rispettive consorti sono impegnate in contemporanea in sala teatro nelle prove dei canti natalizi sotto lo sguardo compiaciuto di don Paolo arciprete, immortalato in controfacciata nel grande quadro del 1939), al termine della loro giornata lavorativa che di sicuro non sarà una passeggiata rilassante, anziché spaparanzarsi sul divano davanti alla tv elettroencefalopiallatrice, han deciso di fare lo straordinario lavorando a tutta birra (Birra Moretti per la precisione: a casse) all’allestimento del “presepe più bello del mondo”.
E l’han fatto cercando di rispettare gli orari di un Avvento non avventato (tutto pronto per l’Immacolata), il luogo sacro (sono pur sempre nell’anticamera della cappella del monastero), l’economia circolare (riciclando tutto il possibile), l’arte della prospettiva in scultura (i pupi più piccoli sono piazzati sui monti, i più grandi in primo piano), le antiche usanze e le nuove (dirimpetto al tradizionale presepe anche un grande albero di Natale, il cielo stellato con i nomi di tutti gli alunni, uno per stella, e la relativa fototessera su un pacchetto regalo). Ma la chicca del manufatto, bisogna riconoscerlo, è il ruscello, così alto e spettacolare che le cascate del Niagara vorrebbero assomigliargli. Certo, per un momento, a causa di una perdita d’acqua, c’è stato anche il rischio che l’asilo di Noha si trasformasse nel lago di Como incluso il ramo che volge a mezzogiorno: ma grazie al pronto intervento dell’astante idraulico Noè può continuare a dormire sonni tranquilli.
Secondo suor Gemma, la decana delle monache nohane, “Quest’opera, che rappresenta la mangiatoia del Dio che volle farsi uomo, vincerà il concorso”. Orbene, non si sa precisamente quando e da chi sarebbe stato bandito ‘sto benedetto concorso. Ma nell’eventualità, il primo premio spetterebbe a quel che ormai è diventato per molti “il presepe più bello del mondo”. Vabbè, se non proprio dell’intero globo terracqueo, senza dubbio alcuno di quel piccolo mondo antico che è Noha.
Antonio Mellone