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Trozza, Poltrone & Sofà
Di Antonio Mellone (del 19/05/2024 @ 15:57:07, in NohaBlog, linkato 498 volte)

Non ricordo più chi m’avesse segnalato quanto la poltrona di Sindaco del comune di Galatina fosse scomoda. Ma nella mia ingenuità avevo inteso il concetto in senso più letterario che letterale, insomma un’iperbole per indicare le difficoltà nell’amministrare la cosa pubblica.

Come al solito mi sbagliavo di grosso: governare la città è evidentemente un gioco da ragazzi (pare sia sufficiente una certa dimestichezza con la chiacchiera altrimenti detta marketing); però è assolutamente vero che il sedile di palazzo Orsini è talmente poco o punto confortevole, anzi molesto proprio, che al confronto il letto di Procuste sarebbe un divano della Chateux d’Ax.

Dunque il nostro city manager nelle vesti di primo cittadino non s’è mica esibito nel salto con giravolta per assidersi sul puteale della Trozza di Noha come un bullo qualsiasi senza alcun motivo, né per fare lo splendido nei confronti delle gggiovani generazioni, e nemmeno per arruffianarsi gli insegnanti colà convenuti nel meritorio tour “Conosco il mio paese” organizzato dalle scuole cittadine e dall’associazione Furia Nohana, bensì per far ritrovare un poco di raggettu alle così tanto bistrattate terga sindacali, realizzando così su due piedi, anzi su due chiappe, la transizione archeologica: vale a dire la promozione sul campo di uno dei nostri monumenti più significativi allo status di chaise longue.

Inutilmente la brava alunna incaricata di far da Cicerone agli astanti provava a spiegare a tutti - poveretto assiso in trono incluso - la particolarità di quel bene culturale, e quanto quell’improvvisata poltrona municipale, al di là dei miraggi contingenti, non potesse essere assimilata a una panchina dei giardini pubblici, e men che meno retrocessa a semplice ghiera di un qualsiasi pozzo in pietra leccese, ma fosse invece un simbolo, un segno, un pezzo di storia patria, un emblema dell’identità locale: e non sono affatto importanti pregio, rarità o originalità di questo o quel reperto per decretarne tutela e rispetto, quanto la memoria collettiva, e soprattutto la relazione spirituale e culturale che lo lega alla vita del paese.

A Galatina, per esempio, nel cappellone della navata destra della chiesa madre, si conserva in bella evidenza e per la venerazione popolare un masso rinvenuto in contrada san Vito: si dice che san Pietro, sbarcato a Leuca e diretto alla volta di Roma, su quello spuntone di roccia ebbe a far riposare le sue stanche membra. Sul luogo di recupero di quella pietra nel corso del XVII secolo fu costruita un’edicola e incisa un’epigrafe a perenne ricordo: “Hic Sancti Petri defessi levamen” [qui il sollievo alla stanchezza di san Pietro]. Per dire il potere dei segni.

Ebbene, noi altri, quale giusto guiderdone ai sacrifici del Vergine e Martire, contro i malpensanti e a favore dei posteri (e giacché pure dei post e dei posteriori), al fine di immortalare codesta estemporanea intronizzazione iconografica potremmo far imprimere da un bravo scalpellino sulle nohane vestigia, appena sotto la vecchia scritta “Hauriar non exhauriar” [disseto non mi esaurisco], la seguente epigrafe: “Hic Sancti Fabii Virgini de’ fessi levamen”.

Sempre che nel frattempo il Sindaco, tomo tomo, cacchio cacchio, prendendoci in contropiede, non anticipi questo nostro proposito vergando da se medesimo il suddetto epitaffio con la vernice acrilica di una bomboletta spray, completandolo poi con un bel tag da graffitista.

Tanto i pollowers di bocca buona, acquistando dal loro rivenditore preferito qualsiasi fontana (dalla fontana di Trevi alla Trozza), non penserebbero minimamente a cattivo gusto, kitsch o deturpamento di un’ opera, ma a raffinato realismo, esplosione di luce e colori,  avanguardia, se non addirittura Street Art. E, rapiti, ne esprimerebbero tutto il godimento con il loro solito icastico: ma ce bellu.

Antonio Mellone