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Il nuovo supercarcere di Noha
Di Antonio Mellone (del 01/05/2024 @ 18:16:55, in NohaBlog, linkato 1268 volte)

Non vorrei fare il solito guastafeste, ma francamente una delle ultime genialate intra moenia comunali, vale a dire l’n-esima telecamera grandangolare puntata questa volta sul puteale della Trozza di Noha, m’ha lasciato da un lato ammirato per il tempismo con il quale l’amministrazione verginale è intervenuta, e dall’altro perplesso (ma ormai non più di tanto) in merito alle soluzioni diciamo andanti a problemi un pelino più complessi.

Provo a spiegarmi meglio. Il 18 febbraio scorso pubblicavamo su queste pagine, con tanto di battutona sarcastica (“Open bar aperto”), le immagini della Trozza guarnita  con alcuni rifiuti decisamente esiziali per un luogo così delicato, tipo bottiglie probabilmente di prosecco (quasi vuote), bicchieri di plastica usati, tovaglioli di carta imbevuti di non so cosa, e un’abbondante spolverata di mozziconi di sigaretta; il tutto con una concentrazione tale da fare invidia, si parva licet componere magnis e con rispetto parlando, a un’arena post-concerto dei Negramaro. Insomma i casi umani di turno (presenti a Noha come del resto a Milano o a New York), chissà da chi ispirati, avranno pensato ancora una volta di dare il meglio di sé nei paraggi di quel monumento, evidenziando in tal modo una calotta cranica decisamente sproporzionata, nel senso di esagerata, rispetto al suo microscopico (eventuale) contenuto.

Al comprensibile stracciamento delle vesti dei novelli Caifa, a distanza di poche ore è seguito uno svelto comunicato stampa da parte del consigliere comunale con delega alla frazione di Noha Pierluigi Mandorino, grazie al quale tutti venivamo rassicurati circa il pronto intervento da parte delle istituzioni volto non solo a ripristinare il cosiddetto decoro dei luoghi, ma anche, signore e signori, a installare la suddetta telecamera con vista. Il che invero è avvenuto nell’arco di non più di un paio di settimane dal proclama; sicché il 5 marzo 2024, senza tagli di nastro o discorsi commemorativi in memoria del defunto buon senso (ma giusto qualche post in favore di pollowers), avevamo già la nostra bella cinepresa con mirino orientato su Piazza XXIV Maggio, pronta a inviare immagini di buoni e cattivi al comando della Polizia Locale: la quale, endemicamente sotto organico, avrà incaricato il suo ultimo (superstite) vigile urbano in smart working a fissare un monitor manco fosse il VAR nella speranza di beccare con le mani nel sacco il balordo di corvée, e dunque spedire al suo indirizzo una bella lettera con busta e cartolina verdi.

Premesso che ho stima di Pierluigi, ragazzo garbato, serio e a modo, parla e scrive correttamente [nulla a che vedere con qualche suo tristemente famoso predecessore – parce sepulto - che stava alla politica, alla grammatica della lingua italiana e al diritto come Erode agli innocenti, ndr.], oltretutto sempre presente e disponibile all’ascolto, stavolta non son per niente d’accordo con lui in merito alla “risoluzione” del problema, e men che meno con i supporters in visibilio e con l’Istituto Luce di complemento (dico una fetta considerevole della stampa locale) regolarmente in sollucchero per qualunque forma di palliativo scambiato per terapia eziologica.

Di questo passo non ci sarà più un centimetro quadrato di Noha (ma anche Galatina, Collemeto e dintorni) al di fuori dei radar del controllo autoritario, sicché questi luoghi benedetti saranno declassati al rango di un Panopticon: vale a dire il carcere ideale progettato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham, nel quale viene previsto un unico sorvegliante quale osservatore (opticon) di tutti (pan) i presenti nell’istituto penitenziario, e senza che questi ultimi se ne accorgano.

La comunità che si presenta come smart sta vieppiù assumendo le sembianze di una prigione glamour, con sbarre invisibili ma resistenti a qualsiasi evasione, mentre noi altri stiamo per essere retrocessi (o promossi) allo status di sorvegliati speciali, attori inconsapevoli di un nuovo Truman Show, personaggi di un videogioco, sudditi dei padroni della vigilanza, rane bollite alla Chomsky, cani pavloviani, individui obnubilati dal velo di Maya, popolo immerso fino al collo nella realtà distopica descritta da Orwell in “1984”, detenuti della caverna di Platone, infine cittadini sì, ma soltanto se dotati di card, pass (specialmente green) e giacché pure app-immuni. E il bello è che per assuefazione ci stiamo convincendo che questo regime dolcemente pervasivo e tanto omeopatico sia inevitabile, e perfino giusto. Ma un Argo Panoptes tecnologico tra i piedi rappresenta di fatto la mortificazione se non proprio il fallimento all’unisono di famiglia, istituzioni, partiti, scuola, parrocchia, informazione, comunità tutta, a favore di chi ci guadagna e specula.    

A breve su questi schermi, fra videosorveglianza, controllo di impronte digitali, identità corporea, riconoscimento facciale, lettura del labiale, e soprattutto politically correct, non sarà più immaginabile formulare, e tanto meno proferire, il consueto chiaro, redentore e ben sillabato vaf-fan-cu-lo.

Antonio Mellone