Un crescente numero di galatinesi è in lutto. Altri – presi, per esempio, dalle partite su Sky, dalle uscite al centro commerciale (specie la domenica, quando potevano), e dalle gozzoviglie con gli amici da postare su face-book - non lo saranno punto, in quanto “ogni danno, ogni stento, ogni estremo timor subito scordano”, ché “la miseria loro, credo, non sanno” (grazie, Giacomino Leopardi mio). I primi, invece, compulsando il sito della provincia di Lecce, hanno scoperto di recente che le superstiti campagne intorno alla loro Città d’Arte stanno per essere ricoperte ancora una volta da decine e decine di ettari di pannelli fotovoltaici.
Evidentemente non sarà bastata la prima ondata pandemica di una dozzina di anni fa che vide soccombere sotto lastre di vetro, ferro e silicio centinaia di fertilissimi campi salentini in nome dell’“energia pulita” - del resto un’epidemia che si rispetti ne annovera almeno una seconda, di ondata: come quella in corso.
A proposito di storia, chi non ricorda le imbarazzanti figuracce di certi nostri amministratori pubblici dell’epoca nel discettare (o scettare), con la solita morfosintassi sconquassata, di codesti mega-impianti. Oltretutto, al tempo, cogliere qualche differenza di posizione “politica” tra la componente diciamo moderata e quella diciamo progressista degli schieramenti era come trovare un ago nel pagliaio. Anzi nel pagliaccio. Non che i rappresentanti in carica – a meno di generiche ancorché “commosse” adesioni alle giornate mondiali per questo o quel creato - brillino per prese di posizione, dichiarazioni d’intenti, o delibere definitive contro il consumo di suolo: ma ripensare a taluni ex symbol della politica nostrana a ogni livello è come ritrovarsi d’amblée sul set di un film con Antonio Albanese nei panni di Cetto.
Ma lasciamo che i morti seppelliscano i morti e torniamo ai giorni nostri.
Insomma, oltre ai 22 ettari di terreno agricolo da trafiggere nelle immediate adiacenze della Masseria del Duca (come da richiesta inoltrata da una srl padana nel corso del primo lockdown), proprio nei primi giorni di novembre (ottavario dei morti), in questa bella regione arancione tendente al rosso, altre due imprese, una di Milano e un’altra di Trento, hanno presentato domanda di autorizzazione per altrettanti grossi apparati industriali di produzione di energia elettrica, rispettivamente di 18 ettari in contrada Spagheto e di 12 in area Torre Pinta, per un totale di ulteriori 30 ettari tondi tondi di terreno vergine nel solo comune di Galatina. Se a questi aggiungiamo i “parchi” previsti negli agri di Galatone, e poi ancora in quelli di Cavallino, Soleto, Campi e Surbo, e in quel che resta di Lecce siamo ormai di fronte a circa 300 ettari di un novello tsunami di ferraglia e cavidotti in arrivo. A questo punto sembra quasi che gli amministratori delegati di siffatte imprese neocoloniali (a proposito, quella interessata al nostro capoluogo si chiama Lecce srl e la sede legale è addirittura in quel di Bolzano: non si può certo dire che non abbiano senso dell’umorismo certi investitori), vengano a dirci: “Cucù, ci avete svenduto o affittato per un piatto di lenticchie un altro po’ di terreni che i saggi avrebbero, con un pizzico di lungimiranza, risparmiato per l’agricoltura. Ma siete proprio dei pirla neh. Ma davvero i vostri due neuroni attivi non riescono a cogliere il fatto che questo territorio che era l’El Dorado sta per diventare l’El Degrado? Eh sì, è proprio un brutto scherzo del Padreterno dare i biscotti a chi non ha la dentiera”.
Ecco perché un bel po’ di galatinesi sono in lutto: perché hanno iniziato a nutrire qualche dubbio su “ricadute occupazionali”, “volani per la crescita”, “attrattività per gli investimenti” e altre simili pigliate per fessi, e più di una certezza sul fatto che gli impianti che a breve si troveranno sotto il culo sono dei bancomat per i promotori, e sudditanza monetaria, ambientale e perfino energetica per tutti gli altri.
Ebbene sì, come dicevo all’inizio, alcuni galatinesi sono in lutto. Molti altri ancora al (libero) rutto.
Antonio Mellone