ci ritroviamo insieme per condividere la mensa della Parola di Dio che il Signore ci offre in questa Domenica in Albis o della Divina Misericordia. Anticamente era la domenica in cui i neobattezzati uscivamo dalla Chiesa, dopo l'eucarestia, per dare testimonianza della loro adesione a Cristo indossando la veste bianca ricevuta al Battesimo, ecco l'alba appunto. Un vero e proprio sciame in canto, come le api, pronti a fecondare con la grazia ricevuta. Chissà se questa immagine non possa essere presagio di una nuova uscita anche per noi. Dopo un periodo di chiusura forzata, che certamente costituisce un tempo forte, ma di grande riscatto se collocato nell'alveo della rinascita, della conversione, della comunione su ciò che veramente è essenziale ed importante per la nostra esistenza, spogliati degli abiti vecchi, intrisi di tutto ciò che non si addice all'uomo e a Dio, non saremo anche noi pronti ad indossare l'abito splendente della grazia di Dio per contagiare con pensieri, parole e azioni buone chiunque incontreremo sul nostro cammino. Allora la distanza di sicurezza nell'animo sarà accorciata e brilleranno non gli abbracci virtuali, ma quelli di pace ed armonia vera. San Giovanni Paolo II ha istituito in concomitanza la Domenica della Divina misericordia. É dal cuore squarciato di Cristo per amore nostro che nascono i raggi di quel perdono che ci fa diventare uomini nuovi capaci di perdonare e dare la vita. Mettiamoci in ascolto.
Vangelo secondo Giovanni (Gv 20, 19,31)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Meditiamo ora la Parola ascoltata
Il vangelo ci colloca in uno spazio temporale di due domeniche, quella di Pasqua «la sera di quel giorno, il primo della settimana» e l'attuale « Otto giorni dopo». Niente ci dice questo spazio? In otto giorni, nell'arco di una settimana Dio crea l'uomo ed ogni essere vivente. In otto giorni Dio in Gesù ci ricrea. Avviene una vera e propria palingenesi. Eravamo morti, vivevamo nel caos. Ora tutto rinasce e la nostra vita è orientata nel futuro di Dio, la domenica dell'eternità. Non siamo più in potere della morte, ma della vita.
Sì è vero attraversiamo l'esperienza del dolore, sofferenza, morte, ma non siamo più la sua preda perché siamo afferrati dall'amore misericordioso di Dio. Gesù si presenta a casa, a porte chiuse, e questa verità non è lontana dalla nostra situazione di emergenza. Gesù ormai svincolato dallo spazio e dal tempo entra nelle nostre case, entra nel cenacolo. Il suo appuntamento stabilito per noi è di domenica in domenica. Attenzione, chi incontriamo in questo giorno non è un fantasma. Egli mostra i segni della passione:«Mostrò loro le mani e il fianco ».
Non è una favola la risurrezione di Gesù, è l'evento centrale della nostra fede. Nella nuova dimensione della sua persona vivono i segni della passione. I discepoli riconoscono il Crocifisso risorto. Essi erano chiusi per paura di essere trovati e uccisi facendo la fine del maestro. Erano uomini senza speranza ed ora «gioirono al vedere il Signore ». La loro tristezza si è mutata in gioia. Le nostre amarezze si trasformano in felicità se riconosciamo il Signore, il vero amore, quello che non ci abbandona mai, non ci lascia mai, non ci mette alla prova mai e ci permette di amare nonostante il rifiuto. Anche noi svincolati dallo spazio possiamo amare nel tempo come Gesù.
Egli poi soffia. Ricordate il soffio di Dio nelle narici di Adamo cosa fa? Dona all'uomo la sua stessa vita. Gesù dona agli apostoli la sua vita e il suo stesso potere, quello di richiamare alla vita. Gli apostoli da quel momento fino ad oggi con il sacramento della misericordia, confessione, riconciliazione penitenza, aiutano l'uomo a compiere il passaggio dal peccato alla grazia, dalla morte alla vita, perché il vero pungiglione della morte è il peccato ciò che ci distanzia da Dio e dagli uomini. «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Gli apostoli hanno ricevuto l'arte di rianimare, ma il grande protagonista dell’esperienza della fede e della testimonianza che da Pasqua in poi inizia è lo Spirito Santo. Ciò apre a noi una visione di speranza e di fiducia: in ogni percorso umano in cui l'amore di Dio è ricercato per superare conflitti, laddove c’è gioia che vince chiusure e distanze, laddove c’è opera di riconciliazione lì vi sono tracce della presenza del Risorto che ha consegnato il suo Spirito. Ora la comunità è ricostituita, prima c'era dispersione, tutti sotto la croce erano fuggiti, tranne il discepolo che Egli amava e Maria. «Gesù stette in mezzo». La prima esperienza della Pasqua per i discepoli è quella di una ricostituzione della comunità attorno ad una presenza che raduna, raccoglie e genera comunione laddove c’era stata disgregazione, paura, disorientamento, chiusura.
All'origine della risurrezione c'è l'amore. Ma quando tutto sembra andar liscio, ecco Tommaso che ascolta l'esperienza pasquale dei suoi compagni, ma non c'è nella comunità mentre Gesù si fa presente e pertanto non riesce a fare la professione di fede. Tommaso ha come soprannome “Didimo” (Gv 20,24), che significa “gemello”, “doppio”. È un discepolo di Gesù, ma sulla fede fa prevalere le sue pretese; sulla fiducia ai fratelli fa prevalere la durezza e la sufficienza; sull’oggettività e continuità di presenza in mezzo agli altri, fa prevalere un atteggiamento singolare e incostante. Dunque è figura di doppiezza. In lui ogni credente può riconoscere le proprie ambiguità e doppiezze nella vita di fede, tutte forme con cui ci difendiamo dal movimento di affidamento e ci isoliamo. Questa è la doppiezza, crediamo di fare da soli, un po' nella comunità e un po' fuori. Ma la fede cristiana non è vivibile individualmente, come avventura isolata.
In mezzo ai fratelli, Tommaso farà la sua confessione di fede: infatti, dove due o tre sono riuniti nel suo nome, il Signore è in mezzo a loro (cf. Mt 18,20). Se la comunità è luogo sacramentale di presenza del Risorto, altrettanto vale per la Scrittura. Il credente incontra il corpo del Risorto nel corpo comunitario e nel corpo scritturistico e, ovviamente, nel corpo eucaristico: il libro del vangelo, definito da Giovanni come “segni scritti” (Gv 20,30-31) capaci di suscitare la fede che conduce alla salvezza, cioè alla comunione di vita con il Signore, è sacramento della potenza di Dio «il vangelo è potenza di Dio per chiunque crede» Rm 1,16).
Dunque Comunità, Scrittura-Parola di Dio, Eucarestia insieme formano il luogo in cui io posso riconoscere il Risorto ed essere confermato da Lui nella fede. Non esiste una fede individuale. La vita comunitaria stessa è dunque luogo di esperienza pasquale. Tommaso, assente durante la prima manifestazione di Cristo (Gv 20,19-23) è presente alla seconda (Gv 20,26-28) e non ha bisogno di stendere la mano e metterla nel costato di Gesù per vincere la sua incredulità (Gv 20,24-25). Egli è invitato da Gesù a compiere quelle azioni, ma Tommaso è fermo. Il fatto stesso di essere insieme agli altri nella comunità cambia la sua situazione.
La comunità è il luogo di esperienza della resurrezione in cui si compie il passaggio dall’“io” al “noi”, nel movimento di morte a se stessi per vivere con e per gli altri. Tommaso, che non ha creduto all’annuncio fatto dai suoi fratelli, è accolto – da incredulo – nel gruppo dei discepoli, nella comunità riunita otto giorni dopo ed è nella comunità che egli dirà:«Mio Signore e mio Dio».
La fede di Tommaso passerà attraverso la conoscenza delle ferite della comunità, la Chiesa corpo di Cristo. Solo questa fede è pasquale perché Tommaso capirà le ferite inflitte con la sua incredulità ai fratelli e compirà un autentico pentimento e conversione. Tommaso si scopre accolto nella sua pretesa, nella sua sfiducia, si scopre amato e per questo vince le sue resistenze. Egli rinuncia a se stesso e acconsente anche di fare la figura di chi smentisce se stesso accettando di essere amato.
Caro Fratello e cara Sorella accetta anche tu di essere amato.