È arrivato. Quel tempo che sapevo prima o poi sarebbe arrivato, è giunto ora, all’improvviso. Voi chiamatelo come volete, tempo del coronavirus, tempo di restare a casa, tempo del ce la faremo, per me resta il tempo della quaresima, mai come quest’anno perfettamente coincidente con i decreti ministeriali che vietano quello che fino a qualche giorno fa era consuetudine, una folle consuetudine. Ma lo sappiamo tutti che la quaresima non è un tempo ordinario (almeno per la Chiesa): è un tempo forte nel quale ognuno riscopre di che pasta è fatto e chi lo ha impastato. Ed eccoci rinchiusi, sarcastici e più affettuosi che mai, paurosi e maestri della polemica, complottisti ed ignoranti. Incapaci di fermarci, di riflettere, di respirare.
È un mondo folle quello in cui viviamo, un mondo che non conosce tappe, nessuna fermata: l’ordine impartito è procedere sempre e comunque senza mai rallentare, anche davanti ad un muro che non si scosta e sul quale ci si sbatte con una violenza inaudita. Cosa rimarrà dopo questo impatto? Della carrozzeria sulla quale siamo sbadatamente seduti ben poco, se non un ammasso di ferraglia aggrovigliata e senza forma. Ciò che si spera è che si salvino quante più vite possibili di quelle che erano a bordo dell’abitacolo di una macchina impazzita, senza freni. Infatti, questo mondo che ci appare immenso e sconfinato altro non è che un piccolo abitacolo di un’automobile all’interno del quale o ci si salva tutti, o si muore, chi prima sul colpo, e chi dopo, nonostante le cure. È un mondo folle dove il silenzio non trova spazio anche se il silenzio è la casa del dialogo con il proprio io: senza silenzio, dunque, io non mi conosco. E ho paura, tutti abbiamo paura di conoscerci perché potremmo scoprire di essere quello che non pensavamo. Così, per ammazzare il silenzio e non rischiare di restare soli con se stessi neanche per un attimo, il tempo di una tazza di tè o la pagina di un buon libro, ci si inventa di tutto, dai flash mob ogni giorno sui balconi alle idee complottistiche con cui intasiamo i social, ripetendo agli altri come un mantra ciò che bisognerebbe fare per attenuare il nostro senso di claustrofobia.
È un mondo folle dove si finge sempre, anche in questo tempo forte. Si finge di essere felici restando chiusi in casa. Chi è felice da recluso? Nessuno, neanche l’innamorato che convive con l’amante tra quattro mura, poiché anch’esso necessità di socialità. È questo che siamo, esseri sociali nel midollo. Noi abbiamo bisogno dell’altro pur quando vorremmo e dovremmo stare da soli. Sì, restate a casa, ma è pur l’ora di abitare un’altra casa, quella interiore, ormai serrata da tempo. Abitatevi! Io vi dico: questo è un dono, non il fatto che fuori un virus attenti alla vostra vita e a quella dei vostri cari, ma il fatto che in un tempo forte come questo ciò che resta è il grano per la farina, tutta la pula spero voli via, lontano, una volta per tutte. Questo è il tempo della cernita, dove ogni cosa dovrebbe essere sottoposta a setaccio. Ciò che va giù è l’essenziale, ciò che vola via sono i vizi, l’inutile. Lasciate volare via tutto ciò che non serve, tenetevi l’essenziale. E ripeto: abitatevi!
In questi anni i nostri governi, che non durano mai più di un anno, non hanno setacciato affatto e quando ci hanno provato, lo hanno fatto male. Hanno scartato l’essenziale e si sono tenuti scioccamente la pula. Abbiamo acquistato aerei da guerra per miliardi di euro, abbiamo finanziato inutili missioni all’estero, abbiamo sperperato milioni sui campi di calcio e abbiamo fatto scoppiare di denaro le tasche di inutili burocrati. E l’essenziale? Buttato via, gettato nella fossa. Qui non manchiamo di chissà quale tecnologia, come ben vedete. Manchiamo della banalità di una mascherina. Abbiamo lasciato spazio agli influencer di uomini e donne e lo abbiamo tolto ai medici, ai biologi, agli insegnanti, ai filosofi, alle menti eccellenti di un Paese che, nonostante tutto, ancora resiste. Le domande di fondo son sempre due: chi siamo veramente e cosa vogliamo. Rispondiamo a queste prima di fasciarci la testa.
È un tempo forte in un tempo folle questo qui: si riduce l’inquinamento, non si sperperano soldi nel gioco d’azzardo, non si è fieri di chiamarsi sardine come quelle ammassate nei centri commerciali. E cosa scopriamo? Di essere nell’era del mordi e fuggi più che puoi, nell’epoca delle ventiquattr’ore di un’economia impazzita dove chiudendo due settimane un bar si rischia il fallimento. E’ il tempo dove si chiude tutto e si lasciano aperte le Borse che bruciano miliardi in un solo giorno. Questo è tutto ciò che abbiamo partorito.
Si rallenta per rallentare i contagi. E se il virus fossimo noi umani? E se fosse il pianeta ad aver preso precauzioni per rallentare il virus che siamo noi e che ha infettato tutto l’organismo che fino a qualche secolo fa era in salute? Forse siamo noi, folli umani, quel virus che il pianeta vorrebbe debellare una volta per tutte, noi che ci facciamo le guerre l’un l’altro, noi che ci riduciamo alla fame a vicenda, noi che inquiniamo con le nostre pessime abitudini, noi che ci facciamo del male con parole ed opere, noi un momento artefici di bellezza e quello dopo capaci del più indicibile orrore. È il genere umano che è stato messo in terapia intensiva, che è stato attaccato ad un ventilatore polmonare per concedergli, in questo tempo forte di quaresima e degenza, di guarire da questa polmonite cronica che lo tiene da anni in asfissia, per consentirgli di ritornare, si spera, a respirare a pieni polmoni.
Liberate gli spazi in questo tempo forte, anche gli spazi virtuali. Pure i preti si sono riversati sui social con messe e via crucis in streaming. Non conto di parlare al posto di Dio, ma, visti i tempi, chi mi negherebbe di pensare che si tratti della sua tanto desiderata quarantena dall’umano? Un tempo di ritiro dall’uomo per conoscerci meglio, noi e Lui nel deserto insieme, distanti un solo metro e desiderosi l’un dell’altro. Dunque, invece di postare ininterrottamente su facebook, pregate non solo per debellare il virus, ma per guarire da questa cancrena che sta facendo morire l’uomo. E nelle Chiese tristemente vuote i preti finalmente hanno scoperto che agli occhi di Dio fedeli e chierici fanno parte dello stesso popolo.
Non emettete sentenze, non prendetevi gioco della vita, lasciate liberi gli spazi, tutti, quelli fuori e quelli dentro di voi. Non vuol dire godere del vuoto perché c’è modo e modo di riempire e di riempirsi. Ecco, riempite i vostri vuoti di Dio poiché è l’unico a poter riempire senza togliere la libertà. E voi, preti, lasciate stare gli hashtag e gli arcobaleni e riappropriatevi del silenzio di Dio, Colui che dice tutto nella Parola che è Cristo in croce, Colui che nel silenzio è riuscito a dire tutto quel che doveva dire.
La Pasqua c’è; Gesù non rimanda la sua resurrezione, anche se qualcuno si perde nel giardino girovagando, spaesato com’è, in cerca di morte e di eroi.
Io vi auguro di arrivare in fretta alla Pasqua, lo auguro ogni giorno a me stesso e ai miei cari. Lo auguro ma non prima di essere passati da qui, dalla quarantena quaresimale. Che nessuno giunga a destinazione prima di essersi riscoperto misero eppure amato da Dio. Le croci dal Golgota, come diceva don Tonino Bello, verranno tolte, così come questo tempo forte finirà. Tutti i tempi forti finiscono perché la Pasqua è stata fissata già da Cristo Risorto non in una data del calendario, ma nel vostro cuore. Vi auguro di risorgere non appena giungerà il vostro tempo, ma, vi prego, per ora fate quel che il tempo forte della quaresima prima della Pasqua richiede: setacciate le vostre vite.
Fabrizio Vincenti