Se ancora vivi, il 29 marzo prossimo saremo chiamati alle urne per il periodico Referendum costituzionale.
Dico bene, periodico, in quanto non passa legislatura senza che al governo di turno, corroborato dalla propria maggioranza, spesso in combutta con la finta opposizione, venga lo sfizio di inoculare il virus P2 nella nostra Costituzione, quella stessa sulla quale i suoi esponenti giurano con la mano sul petto (altezza portafoglio).
Ora. La nostra carta costituzionale non sarà “la più bella del mondo”, come asseriva Benigni (quel dapprima bravo attore satirico, passato poi dallo sberleffo al potere al suo disinvolto ossequio), ma molto spesso, quando ci metton mano, la sfigurano oltremodo.
Ricordiamo a mo’ d’esempio la riforma del titolo V del 2001, imposta a colpi di maggioranza dall’allora Ulivo, diventata poi, volenti o nolenti, la quintessenza del pensiero leghista, vale a dire secessionista e antisolidarista; e non scordiamo il colpo di grazia al progetto di uno stato sociale degno di una nazione evoluta inferto nel 2012 con la riforma dell’articolo 81, quello che ora contempla il drammatico comma del pareggio di bilancio portato in porto dal governo Monti e votato da tutti i partiti dell’arco diciamo costituzionale, i cui esponenti, sul tema, oggi fanno finta di stracciarsi le vesti come novelli Caifa.
E non voglio parlare della riforma scritta a sei piedi da uno dei due Matteo (ormai si differenziano solo dal codice fiscale), dalla Maria Elena e dal Denis (il suocero dell’altro), per fortuna naufragata il 4 dicembre del 2016 grazie a un NO grande quanto una chiesa. No, non ne parlo in quanto su quella “riforma” ho già dato: nel senso che ne scrissi una decina di articoli, forse di più, e ora non mi va nemmeno di nominare il protagonista principale di quel grande rischio con connessa enorme perdita di tempo; e non tanto per via della sua querela facile (tipica degli “statisti” finiti, anzi mai nati), ma perché su questo e altre simili querule spoglie politiche, infinitamente più insipienti e ottuse di quel, chiamiamolo, leader indiscusso, venga steso il definitivo pietoso sudario.
Ma torniamo all’ultimo (speriamo) tentativo di contagio in Costituzione da parte degli "impazienti zero" uniti in Movimento, a loro volta soccorsi dal resto dei pavidi onorevoli, cioè quasi tutti gli altri, incapaci di dire che il cosiddetto “taglio delle poltrone” (scusate: le superstiti cosa sarebbero? Le Cadreghe di “Tre uomini e una gamba”?), da 630 a 400 alla Camera e da 315 a 200 al Senato, è una solennissima cazzata, e che il risparmio dei costi, la maggiore efficienza, e lo strombazzato “miglior rapporto tra cittadini e istituzioni” sono favolette buone per gli zappatori dei propri piedi.
Per dirne una, codesto “miglior rapporto” passerebbe in media da un parlamentare ogni 100.000 abitanti a uno ogni 150.000 circa. Secondo voi, stando così le cose, ci sarà un avvicinamento o un allontanamento del rappresentante dal suo rappresentato? Un maggior coinvolgimento della base nelle decisioni politiche o una sua estromissione a favore delle segreterie di partito? E i territori avranno voce in capitolo o saranno ancor di più vittime di scelte oligarchiche?
Non ho simpatia per la stragrande maggioranza dei parlamentari assisi attualmente su quegli alti scranni, ma questo non mi esime dal difendere l’istituzione repubblicana Parlamento dall’influenza molesta di chi ha in dispregio la democrazia considerandola come un “costo”.
Dunque, il 29 marzo prossimo, se avete ancora anticorpi contro il Sacra Corona Virus, votate NO.
Altrimenti, di ritorno dal vostro centro commerciale di fiducia, per salvaguardare quel che resta della nostra Costituzione e per la salute pubblica di tutti, è meglio che restiate chiusi in casa.
In quarantena.
Antonio Mellone