C’è chi ha le fette di prosciutto, chi lenti di salame, e chi invece ostenta filtri in materiale così variegato che non basterebbero a spiegarne la composizione tutti gli elementi della tavola periodica, specie lo stronzio. Confesso che su certe materie, come quella della quale vi parlerò questa volta, io, sempre sugli occhi, ho le fette di Mellone.
Ebbene sì, quando parlo di musica organistica e dunque di organi a canne e organisti non riesco proprio a essere vergin di (servo?) encomio, né invero di (codardo?) oltraggio all’indirizzo di chi, questi organi a canne, li considera alla stessa stregua di un mobile di arredamento, un pezzo da museo (cioè da cimitero per cose che hanno perso la loro casa naturale), se non un ingombro anacronistico o addirittura un centro di costo. Non così, per dire, un Dante Alighieri che nella Commedia ne parla nel Purgatorio (canto IX - 144), e ovviamente anche nel Paradiso (canto XVII – 44).
Per fortuna, qui in provincia di Lecce, da qualche anno a questa parte, c’è un bel gruppo di Leoni da tastiera che, navigando controvento, son riusciti a dare fiato alle trombe, anzi alle canne di un bel po’ di organi installati, alcuni da secoli, nelle chiese salentine.
Attenzione, precisiamo: questa volta Leoni da tastiera non sono gli analfabeti funzionali che sui social capiscono fischi per fiaschi, o i famosi troll che dietro l’anonimato ne dicono di cotte e di crude, o gli estensori di post senza capo né coda, o the giornalisti copia-incollatori di comunicati-stampa, o i dispensatori di insulti o minacce a fronte di una critica, o Dio non voglia di un pezzo satirico. Nossignore: Leoni da tastiera in questo caso sono degli artisti che, per la gioia dei melomani (e dei mellomani), in consolle, sanno metter mano su tastiere, pedaliere, staffe, pistoni e comandi di registro, dando voce e colore a spartiti musicali, dai classici agli inediti, in una combinazione prodigiosa di suoni soavi e impetuosi, funesti e lieti, delicati e potenti.
Non vorrei qui fare la mia solita figuraccia omettendo la citazione di nomi magari non meno importanti di questi, ma tra i Leoni da tastiera non posso non menzionare il direttore artistico del Festival Organistico del Salento (attualmente in corso), M° Francesco Scarcella, come pure il M° Leonardo Antonio Di Chiara, e un altro grande, il M° Antonio Rizzato (di cui feci pure cenno in un mio pezzo, andato poi a finire nel 2015 in un bel libro di AA.VV. delle edizioni Del Grifo sui 400 anni del complesso monumentale francescano lequilese). Questi e per fortuna tanti altri Leoni coraggiosi, sognatori resistenti e rivoluzionari gentili concerto dopo concerto stanno dando il LA a un vero e proprio bradisismo positivo, un processo di trasformazione sistematica delle nostre comunità. Sì, perché un concerto d’organo è esercizio di benessere personale e collettivo; è pratica etica e politica per tutti; è senso di appartenenza; è sviluppo di immaginari secondo gusto, sensibilità, curiosità intellettuale, e soprattutto capacità di ascolto.
Su argomenti come questo c’è ancora molta strada da fare nella nostra terra, spesso distratta dallo sviluppismo tutto orgia di spreco, cemento, veleno, lido e discoteca. Qui c’è da promuovere, dopo i mulini e i forni, anche gli organi a canne di comunità; c’è da riscoprirli, tutelarli, restaurarli dove richiesto, ma soprattutto utilizzarli. Molte chiese purtroppo dimenticano di avere queste fenomenali orchestre per unico esecutore a portata di mano, simbolo di regalità e raffinatezza: onde “scordare” ha più significati, purtroppo tutti negativi. Eppure parroci e sindaci (e popolo) dovrebbero sapere che l’organo teme polvere, ragnatele, insetti, e a volte anche topi ed escrementi di volatili, e che dunque una suonata al giorno toglie l’organaro di torno. Ma il peggior nemico di questi strumenti liturgici e da concerto (ma è tutta sacra, qualunque musica) si chiama sciatteria.
Mi auguro che dopo questa “Aria sulla quarta fetta” sia chiara una volta per tutte la differenza sostanziale tra Leoni e leoni da tastiera: i primi prediligono Bach; gli altri i baccalà.
Antonio Mellone