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Gente del Sud
Di Antonio Mellone (del 17/04/2019 @ 19:41:00, in NohaBlog, linkato 1257 volte)

Ci sono libri, ancorché brevi, dei quali non vedi l’ora di abbandonare la lettura. Certo, potresti anche riporli sulla loro mensola senza tanti scrupoli: ma essendo un tipo ostinato, io, non ce la faccio proprio ad accantonarli dopo le prime pagine, sicché cerco sempre di arrivare fino in fondo, non fosse altro che per recuperare i soldi spesi per il loro acquisto.

Ma esistono altri libri, pur ponderosi, che ti verrebbe di divorare in un sol boccone, ma decidi invece di degustare con calma, di centellinarne le pagine, proprio come faresti con una grappa invecchiata di gran valore provando a farla durare il più a lungo possibile.

Con “Gente del Sud” di Raffaello Mastrolonardo (Tre60, Milano, 2018), sei in questo secondo caso. Sì, perché non hai voluto voltare le circa 770 pagine del volume con la voracità che ti veniva in automatico vista la scorrevolezza del testo, ma hai usato uno stratagemma formidabile volto a farti frenare, indugiare, sostare (in quel sud) il più a lungo possibile.

Il come è presto detto.

Tra l'atroce storia di Palma che a Balsignano (paese di fantasia ma non troppo, collocato a ridosso delle Murge baresi) mette al mondo Cipriano nello stesso giorno in cui Romualdo, il marito medico, spira a Napoli per via del colera, e l’epopea di Bastiano, papanonno, e la consorte Checchina, è stato sufficiente sospendere “Gente del Sud” per metterti a leggere “Con la cultura non si mangia: falso” (Laterza, 2018), il pamphlet della tua prof di Economia Aziendale, quella con cui sostenesti anche il tuo primo esame all’università.

Dopo l’intervallo, piacevole e molto interessante, hai ripreso il volume del Mastrolonardo immergendoti nell’epica di Cipriano: ma, tra la prima e la seconda guerra mondiale, hai deciso di fermarti ancora una volta per leggere Pino Aprile, il meridionalista più seguito in Italia, che come al solito non le manda a dire nemmeno nel suo (penultimo) “L’Italia è finita – e forse è meglio così” (Piemme, 2018).

E così riattacchi di buona lena con Gelica Di Ciaula, la sorella del potestà gentile di Balsignano, la consorte colta di Cipriano che, insieme al marito, decide di metter su una scuola rurale per i contadini del posto.

Ma la tua strategia ti porta a fermarti di nuovo e a divorare - guarda un po’ la combinazione a proposito di scuola - il “Don Lorenzo Milani – L’esilio di Barbiana” di Michele Gesualdi (San Paolo, 2017), allievo del nostro Don, esiliato per la libertà del suo pensiero.

Ma già ti manca “Gente del Sud”, ne hai quasi nostalgia. E ti rituffi senza esitazione.

Vai avanti così, fino al riscatto, fino all’esorcismo generazionale della bella Reginella costretta a sperimentare sulla sua pelle vette alte e abissi profondi, la polvere e l’altare, e mica una sola volta; ma anche qui, a proposito di riscatto, non puoi non metter sul comodino anche “Sos Marx” (Lupo, 2015) della tua conterranea Ada Fiore.

Ti viene spontaneo andare avanti così: leggi a fisarmonica, viaggi a lungo ma poi fai sosta, e ancora devii, e sterzi nel tempo e negli ideali, mentre il passato si svela con sorprese inimmaginabili e senti che alcune cose ti appartengono per chi sa quale strampalato marchingegno.

Alla fine ti accorgi quanto aveva ragione quello che diceva che i libri si parlano tra di loro, che esiste un filo che ci lega tutti strettamente ai padri e a alle madri, a una storia e una geografia, a una terra e a un paesaggio un tempo ricoperti di lacrime sangue e sudore, oggi molto più spesso, purtroppo, di cemento, asfalto, veleni e eradicazioni.

È stato un bel tira e molla durato un mese mezzo (un record assoluto per un libro), fino alla storia di Raffaello Parlante, ovvero Narrante, che si firma Mastrolonardo.

Antonio Mellone