Ad un certo punto alcuni amici ti fanno notare dei comunicati allarmistici vergati qua e là più che con la penna con il decespugliatore: pare che erbe infestanti, piante carnivore, le liane di Tarzan e la venefica Cicuta stiano per invadere Galatina e frazioni, roba che al confronto la foresta amazzonica sarebbe un prato inglese.
Alcuni relitti della politica (ma come diavolo si chiamavano: boh? Prima o poi mi verranno in mente), sembrano terrorizzati da questo e dalle connesse novelle piaghe d’Egitto a chilometro zero, vale a dire l’assalto delle rane, l’avanzata delle cavallette, l’invasione delle mosche e quindi le scorrerie dei ratti (probabilmente quelli del Pifferaio di Hamelin).
Idiosincratici agli orti (ma soprattutto all’ortografia), i diversamente politici dal pollice verso più che verde son capaci di crearti dal nulla l’ennesima emergenza, celando così quanto probabilmente il vero allarme sanitario sia la natura delle loro elucubrazioni scarsamente eco e punto logiche.
In primavera la natura (matrigna che altro non è) rinasce di fuori da ogni controllo, freno, limite, mattone o ringhiera. I vegetali spontanei, clandestini, imprevisti, non coltivati, e soprattutto non “curati” fanno finalmente capolino, incursione, e vivaddio irruzione. Si affacciano senza chiedere il permesso, ti affiancano per istrada in silenzio, arrivano come l’inaspettato, l’estraneo, il migrante senza frontiere; e se sei prigioniero dello schema mentale delle madamine pro-Tav e, secondo alcuni anche pro-Pil, anziché goderne, li aborri, ne hai paura, te ne difendi, li denunci pure definendoli “erbacce”. Ora vai a spiegare al digiuno di queste cose che le erbacce non esistono, e che quella roba lì si chiama biodiversità, ma anche armonia, se non proprio libertà.
|
|
Male-Detta-Primavera stornellava quella, profetizzando in anticipo l’ermetico acrostico degli ossimori della sinistra odierna, tutti falce e carrello all’ipermercato, terrorizzati da una realtà vegetale estranea al loro particolare concetto di “sviluppo” costellato invece di mega-porci commerciali, lidi briatoregni, villaggi turistici, aree mercatali, autostrade a più corsie fino a Finibus Terrae, campi di sterminio fotovoltaico, decretini pro-eradicazione ulivi, ciminiere, nuovi comparti edilizi, e Grandi Opere sine fine dicentes.
Un’idea nuova neanche a pregare in ginocchio, indossare un cilicio, compiere scalzi il cammino di Santiago de Compostela. Questi personaggi in cerca di elettore, ormai con il cercapersone della Beghelli, stanno alla Politica come Attila doveva stare ai pascoli.
Incapaci di concepire l’unico grande organismo che ci avvolge di sobria bellezza, il Genius Loci, la vita, e il verde che s’infiltra procede e vince, vorrebbero una città magari blindata dietro le sbarre, e perché no, riempita di telecamere, diserbata a dovere, e soprattutto “pulita” sotto una coltre glabra di cemento o in alternativa di asfalto.
Ma esisterebbe almeno una cosa in comune tra gli scritti di questi esponenti di partito preso e gli infusi di Menta, Cumino, Frangola o Tarassaco selvatici: si tratta sostanzialmente dell’effetto purga.
Mo’, per favore, non chiedetemi se in senso letterale o in quello di regime.
Antonio Mellone