Quattro anni fa, esattamente il 21 febbraio 2015, alla soglia dei novant’anni, don Donato Mellone lasciava per sempre questa valle di lacrime diretto verso altre mete. Ma non è detto che tutte ‘ste lacrime fossero necessariamente di pianto: ché molto spesso erano di risate.
Come ormai tradizione vuole, vorrei ricordarlo con qualche aneddoto che lo riguarda.
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Sì sa che con l’età l’udito è forse, dei cinque sensi, quello che più ne patisce. Don Donato non ne fu immune, tanto da diventare progressivamente sordo come una campana (quando si dice il caso). Questo per la gioia di molti tra i fedeli penitenti pronti, dopo il canonico esame di coscienza, al sacramento della Confessione.
Da lui c’era sempre la fila, sicuramente anche per via del fatto che l’assoluzione era assicurata nel breve volgere di qualche minuto e soprattutto per qualunque peccato.
Per. Qualunque. Peccato.
Eccovi l’esempio di un dialogo in confessionale che oseremmo definire Conversazione PD: vale a dire tra Penitente/Peccatore (P) e Don Donato (D):
D - Da quanto tempo non ti confessi, figliolo?
P – Eh, caro don Donato, hai presente la Prima Comunione? Be’, per me fu anche l’ultima.
D – Bene, bene: in effetti il bisogno di riconciliarsi con Dio è alla base della vita cristiana.
P - Poi, padre, volevo dirti che ho ammazzato cinque persone, in pratica una strage.
D - Molto bene, bravo, continua sempre così: l’umanità ha bisogno di persone come te, e soprattutto di azioni come le tue per diventare più giusta e civile.
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Arrivò il tempo dei telefonini. In chiesa madre durante le funzioni religiose era un continuo echeggiare, al cui confronto i decibel di un organo a canne sarebbero stati quelli di una camera anecoica. Don Donato, che non ha mai posseduto un telefonino in vita sua, seppe da qualche fedele più esperto le modalità con le quali si poteva silenziare questo esigente padrone che ci portiamo a spasso.
Sicché una volta, nel corso di un’omelia, squilla d’un tratto il solito anonimo Smartphone. Udito l’ennesimo trillo molesto, interrompendo il fluire dei pensieri (stava giustappunto disquisendo di comandamenti) così parlò ex-cathedra: “Questi squilli continui sono smisuratamente importuni: la prossima volta siete pregati di utilizzare il vibratore”.
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Siamo agli inizi degli anni ’60. Da giovane prete, insieme ad un altro sacerdote diocesano, don Donato si reca in pellegrinaggio a Roma. Nel corso di alcuni esercizi spirituali il nostro Don venne invitato a parlare alla Radio Vaticana della sua esperienza di professore di Latino, Italiano, Storia e Geografia presso il seminario vescovile di Nardò. Si era preparato il discorso ma, ovviamente, come al suo solito non volendo leggere nulla, decide di parlare a braccio. Gli passano la parola.
Sarà stato per l’emozione di discorrere per la prima volta in una radio, e soprattutto Urbi et Orbi, così esordì: “Sia lodata la Radio Vaticana, qui vi parla Gesù Cristo”.
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Voi dovete sapere che don Donato ha sempre bevuto il vino fresco. Che dico fresco, gelato. Anche fuori dalla stagione del solleone. Per lui una delle penitenze più dure (difficili da sopportare perfino in Quaresima) era riuscire a mandar giù il vino – dico anche quello della messa - a temperatura ambiente, soprattutto d’estate: “Ma così il vino non scende e non scende” - diceva.
Trova dunque una soluzione. Chiede e ottiene dalla fedele Antonietta, dimorante dirimpetto alla sacrestia, l’impegno di procurargli un po’ di ghiaccio tritato, una granita insomma, da introdurre nelle ampolline dell’acqua e del vino qualche minuto prima della celebrazione.
“Ma come, zio: il sangue di Cristo in ghiaccio?” – gli faccio.
“Guarda: la morte sua”.
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p.s. Alcuni degli episodi narrati sopra (tipo l’ultimo) sono veri: quanto è vero Iddio.
Antonio Mellone