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Suor Orsolina D’Acquarica, cittadina onoraria di Noha
Di Antonio Mellone (del 16/10/2018 @ 14:08:37, in NohaBlog, linkato 1305 volte)

E così una sera di fine estate decidi di rinunciare a una delle tue uscite con amici e amicie, per trascorrerla in compagnia di suor Orsolina D’Acquarica e di altri sulla bella terrazza di Marcello (il fratello della sorella), da cui si domina Noha e il suo skyline.

Lei, alla fine della cena (una frisella al pomodoro), sta mangiando una mela; te ne offre uno spicchio perché “se mangi da solo rischi di ingozzarti”.

Hai davanti a te, dunque, la “Madre Teresa” di Noha, con la differenza, rispetto a quella di Calcutta buonanima, che questa donna non è conosciuta dai Media Mainstream, non  ha vinto il Nobel, non viaggia in prima classe e in Superjet, e forse mai ne produrranno in Cina l’effigie in serie da comò. Ne ha però in comune il fisico minuto e l’altezza (stavo per dire la statura), tanto che per rientrare entrambi nelle foto a corredo di queste righe io ho dovuto piegare un po’ le ginocchia mentre lei s’è dovuta alzare sulle punte dei piedi: ciò non toglie che nella suddetta istantanea il gigante è lei, il lillipuziano il sottoscritto.

 Suor Orsolina, al secolo Maria Annunziata, ottantaquattro estati addosso, e un numero di chilometri che tende a infinito (in più sensi), con il suo eloquio fluente ti parla della sua vita, della decisione di farsi suora (“Rifarei cento volte la medesima scelta di vita.”), e delle sue missioni in terre tutt’altro che comode, come invece sarebbero quelle di più antica anagrafe cristiana.

Oggi, che è a diciamo riposo, è chiamata a fare il ministro degli esteri della sua congregazione, cioè l’Istituto Missioni della Consolata di Torino (“ma sono un ministro senza portafoglio: veramente non ne ho mai posseduto uno”).

Conoscitrice com’è dello spagnolo e del portoghese (“ma capisco e un po’ parlo anche altre lingue”), sbriga la corrispondenza con le consorelle e i fedeli sparpagliati ai quattro angoli della terra servendosi del suo pc, (“non ho mai avuto problemi con Internet, mail, foto digitali; quanto ai Social, ci starei pure volentieri, se solo avessi un po’ di tempo da perdere”).

È infine corresponsabile dei progetti di nuove Case della Consolata nel continente asiatico. Per dire che si diventa vecchi solo quando si smette di programmare il futuro.

 

Dal 1967 al 1981 suor Orsolina si è occupata della cura dei malati in Portogallo.

Successivamente, dal 1981 fino all’altro ieri, ha vissuto in Brasile, nello stato di Roraima, dove, sballottata di qua e di là, ha fatto di tutto: dall’insegnante di bambini e adulti (“perché l’alfabetizzazione è la migliore arma per far valere i propri diritti”) all’infermiera, dalla catechista al “parroco”: sì anche il parroco al femminile (ma senza celebrazione della messa), dopo che uno dei prevosti di una grande parrocchia fu trucidato dai Fazenderos (i prepotenti locali e multinazionali).

Suor Orsolina è a tutti gli effetti una teologa della liberazione, pronta a sfidare la fatica, le strade malconce percorse a piedi e in bicicletta, gli acciacchi dovuti anche al clima torrido (“e con un’umidità al 90% e pioggia ogni santo giorno”), e a mettere a repentaglio la sua stessa vita pur di contrastare i continui soprusi e la violenza del Capitalismo che tanti danni ha causato e continuerà a causare agli indigeni di ogni latitudine.

Allora mentre parli con questa monaca pensi che esiste eccome “un’altra chiesa” meno curiale, diplomatica e allineata alla voce del padrone, capace di chiedere giustizia, decisa a cacciar via i mercanti dal tempio, e disposta a rieducare i suoi fedeli alla spiritualità del creato e a una nuova cosmologia. E magari in grado di aprirsi, perché no, anche al sacerdozio femminile da conferire a donne coraggiose e straordinarie.

Come la nostra suor Orsolina. 

Antonio Mellone