Certe volte il mio amico Dino mi mette in difficoltà. Lui, attento osservatore, ricorda tutto, i nomi delle persone, i loro gradi di parentela, la sequenza dei fatti del tempo che fu e molto altro ancora.
Io no, ma ogni tanto ci provo.
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Dino, vale a dire Gerardo Paglialonga, è un anno più piccolo di me, ma abbiamo frequentato le stesse scuole e dunque condiviso alcuni insegnanti.
I suoi genitori erano troppo giusti, proprio dei bravi cristiani: Michelino (Pichinnànni), sempre gioviale, amico di mio padre, aveva costruito casa mia e quella di molti nohani; sua mamma, la Mimì, se n’era improvvisamente volata sulle nuvole molto prima di suo marito, quando Dino frequentava ancora le elementari.
Ricordo come fosse ieri il giorno in cui a Noha, per l’ultimo saluto alla povera Mimì, piansero pure le pietre.
Il dì dei funerali io avevo la febbre alta. Il termometro non voleva saperne di scendere al di sotto dei 40°. Per la debolezza non ce la feci nemmeno ad affacciarmi per vedere il corteo con tutti i compagni di classe che sfilavano proprio sotto la finestra della camera da letto dei miei dov’ero, nel talamo, ospite temporaneo. In quel pomeriggio con me c’era solo mio padre. Mia madre, invece, non mancò alle esequie della sua amica. Passato il feretro, e le salmodianti preghiere del parroco, mio papà si voltò verso di me e mi toccò la fronte scottante senza dire nulla. Mi accorsi che più di una lacrima aveva imperlato i suoi occhi rigandogli poi il viso.
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Dino è un pezzo di pane. Ne ha la stessa fragranza. E non solo perché è buono come il nostro alimento per eccellenza, ma anche perché fa il fornaio ormai da tanti anni presso la Panetteria Filieri/De Donno di Noha, dalla quale ogni mattina (prima ancora del furgone che lo distribuirà alle botteghe) parte il profumo che avvolge il paese.
Compri il pane da quel forno ma non riesci a portarlo integro a casa: durante il tragitto cadi inesorabilmente nella tentazione di accaparrarti di un pizzu, la coda della baguette, o la parte più crostosa di una rosetta. Stessa sorte subiscono le altre bontà come taralli, focacce e biscotti.
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Ma dicevo delle mie difficoltà quando m’incontro con Dino. Sì, perché a volte le sue non sono domande, ma test Invalsi a bruciapelo. Avete presente i problemi di Matematica della serie: “Sapendo che il lato minore è 9/11 del maggiore e che l’area del parallelogramma è di 594 cmq, calcola la misura delle altezze relative ai due lati”? Ecco, siamo a questi livelli. E tu ti scervelli nel trovare la soluzione con l’ausilio della calcolatrice contenuta in quell’aggeggio che un tempo si usava per telefonare, mentre Dino [che conosce già la risposta, e cioè che stavolta non c’è soluzione in quanto manca un altro dato essenziale, ndr.] ti incalza impietoso. Mannaggia sua.
Sulle prove d’Italiano cerco invece di tenergli botta, giacché su Foscolo, Manzoni e Leopardi non incontro chissà quali impedimenti - onde non ci rimane che convenire sulla bravura dell’insegnante per antonomasia, la nostra professoressa delle medie Franca Masi di Galatina, che evidentemente ha lasciato un segno positivo e indelebile in quasi tutti i suoi allievi [a questo proposito chiedo a chiunque abbia contatti con la suddetta prof. di riferirle che il suo ex-alunno Paglialunga Dino di Noha non vede l’ora di riabbracciarla, dopo giusto qualche decennio di distanza, ndr.].
Ma c’è un altro filone (stavolta non di pane) in cui Dino mi lascia letteralmente interdetto. Ed è il settore del calcio.
Ora. Come faccio a dirgli che io non ne capisco punto, che non sono tifoso di alcuna squadra, che non m’interessano gli sport praticati dagli altri (soprattutto se milionari, in mutandoni e alla rincorsa di un pallone), e che sì, possedevo la bandiera del Milan, ma sol perché mio cugino - ritornato finalmente a casa (grazie anche alla mediazione di mia madre) dopo essersene allontanato alla volta di Milano in polemica con il padre, come ogni buon figliol prodigo che si rispetti – me ne aveva portato in dono una acquistata direttamente allo stadio: ma io a quell’età non avevo ancora gli anticorpi necessari per imbastire strategie difensive contro pensieri, mode, e religioni mercatistiche soggioganti.
Sì, ok, lo ammetto, ho pure frequentato San Siro durante gli anni dell’università. Mea culpa. Però era gratis, grazie allo striscione del Milan Club di Niguarda che dovevamo esporre legato alla balaustra di una delle gradinate del Meazza; e poi questo fatto mi permetteva anche di studiare il fenomeno sociologico delle tifoserie più da vicino, anzi proprio dall’interno del campione bernoulliano di riferimento. Per essere più precisi, dalla Fossa dei Leoni del terzo anello della curva sud. Roba da Antropologia pura, anzi applicata.
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Comunque sul calcio anche Dino, come tanti altri tifosi, ha le sue fisime: come quella di giocare ogni tanto la schedina del Totocalcio quando sa perfettamente che si tratta di un gioco d’azzardo, in quanto (come m’insegna lui medesimo) la probabilità di beccare un tredici è pari a uno fratto tre elevato alla tredicesima potenza, vale a dire un caso favorevole su oltre un milione e mezzo di casi equipossibili (1/1.594.323 per la precisione), con l’aggravante di puntare per scaramanzia, lui di fede rossonera, sempre sulla sconfitta del Milan.
Insomma qualche lato debole ce l'ha anche Dino. Per dire che non faccio solo sviolinate.
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Per fortuna a Noha ci sono donne e uomini, come il mio amico Dino Paglialunga, che mi permettono di coltivare ancora il vizio (o la virtù) che purtroppo molti concittadini - per inerzia o assuefazione - sembra abbiano smarrito per strada: vale a dire quello di ammirare e possibilmente custodire il proprio paese e le sue persone migliori.
Antonio Mellone