Io vorrei cercare la rabbia nella mia terra, ma non vedo tanta rabbia nei dintorni di casa mia. Al massimo irritazione. Un cruccio privato, un po’ di risentimento per le cose che non vanno, e per i drammi personali e famigliari. Ma nessuna rivolta, poca lotta, e una coscienza di classe pressoché azzerata.
C’è attesa, sì, attesa che qualcosa cambi. Attesa magari di un treno. Che ovviamente non passerà mai. Sembra che la rassegnazione prevalga ancora sull’azione, la rinuncia sulla denuncia, il ricatto sul riscatto.
Il popolo continua a esprimere il suo voto pneumatico ostinandosi a eleggere non chi gli riconosce il potere di decidere, ma chi glielo sottrae, questo potere. Persevera nel dare il suo suffragio universale diretto ai buoni a nulla (e capaci di tutto), tipo il Ras locale, che spesso coincide con il solito personaggio che seguita a bearsi della sua cronica disinformazione in ogni campo, si compiace del suo frasario inurbano (per non parlare del suo traballante commercio con le Lettere – basti leggere certi suoi post sgrammaticati su fb) nonché della sua dizione altrettanto meschina, si crogiola nell’agghiacciante disinvoltura con cui cambia casacca, spara slogan orripilanti (o credibili come un “ti amo” pronunciato con la pistola alla tempia), racconta balle iperboliche, se la prende con la verità (tipo che il re è nudo), sigla impegni che non rispetterà mai anche perché non ci crede punto (l’ultimo in ordine di tempo in quel di Melendugno è la firma apparente contro Tap, mentre in Europa i suoi stessi compagni di partito, non i miei, proprio l’altro giorno hanno votato a favore del finanziamento BEI di 1,5 Mld - nel mio paese questa cosa si chiamerebbe sciacallaggio politico o, più prosaicamente, presa per il culo). Insomma, roba da far inorridire le persone normali, ma non ovviamente i lobotomizzati (in senso letterario, non letterale - meglio specificare, non si sa mai), e quindi la sua stessa portatile claque.
Non so a voi, ma a me stordisce l’ovvietà disarmante delle diciamo opinioni di certi candidati nostrani (più che figure di sinistra sinistri figuri), il loro moralismo mediocre, la presunzione con cui pontificano su qualsiasi argomento senza conoscerlo (tipo Xylella e Tap, due farse che ambiscono a diventar tragedia anche grazie a loro), l’enfasi retorica priva di reale contenuto, l’imbarazzante autocompiacimento nel più totale difetto di qualsiasi merito, l’avversione alla Costituzione (che maldestramente avevano pure provato a “riformare”, salvo saltare successivamente nel recinto di chi quella Costituzione ha in qualche modo cercato di salvare), la proverbiale annosa goffaggine, l’antidemocraticità intimidatoria (genetica prima ancora che culturale), la mancanza di senso dell’umorismo e dell’autoironia, le contraddizioni conclamate (certe asserzioni stanno alla Politica come un “se vorrei” all’esame di maturità), per non parlare degli inenarrabili selfie e degli auto-video, giusto mix di narcisismo, inadeguatezza, ottusità politica e mancata consapevolezza dei propri limiti (etici più che estetici).
Un popolo assopito ti risponde che è sempre stato così e così sarà per sempre, in saecula saeculorum; che purtroppo noi non possiamo farci nulla; che bisogna convivere con l’inferno di questi notabili e con quello dei veleni, dell’asfalto, del cemento, dei lidi-discoteche e dei centri commerciali (che queste “autorità” spalleggiano); che i miei articoli - oltretutto “troppo lunghi” - sono tempo sprecato, parole al vento, acqua fresca; che, comunque, non sono affari miei (la Politica, la salute, il futuro della mia terra non sarebbero dunque affar mio – sicché io dovrei starmene a casa mia); che chi me lo fa fare di espormi in tal modo; che sì, i potenti vincono sempre [vedremo poi se vinceranno e se sono davvero così potenti, ndr.]; che no, non c’è la volontà politica (come se la volontà politica dipendesse dagli altri). Insomma.
Be’, io ho ancora voglia di credere che non sia (più) così, che forse non tutto è perduto, che il voto a perdere può trasformarsi in voto a rendere.
Dunque, andiamo pure a votare, ma a condizione che ci ricordiamo come si faccia a esprimere un voto finalmente libero e informato.
E che per almeno una volta si riesca a far uscire da un’urna qualcosa di vivo.
Antonio Mellone