Inizio, con questo, una serie di brani per spiegare le motivazioni del mio NO ad una riforma costituzionale che non ha né capo né coda. Anzi che ha capo (nei poteri forti che vorrebbero essere possibilmente ancora più forti) e coda (una serie di accoliti pronti a dire di SÌ al capo, sull’onda di alcuni azzeccati slogan pubblicitari buoni per gli allocchi: altro che “entrare nel merito delle riforme”).
Premesso che so di cosa sto parlando, non solo perché ho studiato questa pigliata per fessi chiamata “riforma” (non scrivo mai nulla che non abbia analizzato approfonditamente: e, giuro, avrei preferito leggere ben altra letteratura che questa scritta con quel che più somiglia alla faccia dei suoi estensori), ma perché si tratta di una materia che ho sempre adorato e che continuo a sviscerare, e possibilmente divulgare quando organizzo convegni, quando scrivo qualche articolo, quando incontro periodicamente gli studenti delle scuole. Ma mica solo loro: lo sanno bene anche i miei carissimi colleghi e amici.
Come affermavo altrove, a suo tempo presi trenta (senza lode) in Diritto Pubblico, composto da Diritto Amministrativo (un migliaio di pagine, con il Prof. Cacace) e da Diritto Costituzionale (un altro migliaio, con il compianto prof. avv. Cesare Ribolzi, un grande). Ho seguito successivamente con il prof. Pupilella un seminario sul “Bicameralismo perfetto” (ne sono un fautore, altro che le chiacchiere dell’eliminazione del Senato: che poi non viene affatto eliminato: vengono abrogate invece le elezioni dei senatori).
Quest’anno – aggiungo - si è laureato in Giurisprudenza un ragazzo di Noha che ho accompagnato con una serie di lezioni e interrogazioni in tutti i suoi esami (incluso dunque Costituzionale), sicché diciamo che la materia ce l’ho ancora fresca di studio. Ergo guai a chi (mi) tocca la Costituzione. I manigoldi al governo invece vorrebbero addirittura stravolgerne 47 articoli. Dico: QUA-RAN-TA-SET-TE-AR-TI-CO-LI. Roba che manco Erdogan dopo il fallito golpe (fallito quello degli altri, non il suo).
Ma la Costituzione di uno Stato non è materia di Governo. Il Governo, tanto per ricordare i fondamentali del diritto pubblico (e il basilare principio di separazione dei poteri), rappresenta il Potere Esecutivo di uno Stato. Deve cioè applicare le leggi, deve “eseguire” appunto. La governante in una famiglia prende gli ordini, esegue, adempie, ottempera: è una dipendente, mica la padrona di casa.
L’altro giorno, invece, il Presidente del Consiglio a reti unificate se n’è uscito con la sua solita spocchia: “Con questa Costituzione io non posso governare”. Comeeee? “IO non posso governare”? IO? E tu chi sei? Il satrapo d’Italia? Il Re Sòla? Rispetta la legge piuttosto, e la Costituzione su cui hai pure giurato. Prova ad applicarla, se ne sei capace, non a spricularla a colpi di ricatti e logorroiche minchiate.
Io credo che sia assolutamente necessario che il corpo legislativo torni ad essere l'organo della legge in senso pieno. Camera e Senato non possono essere ridotti a “strumenti” di approvazione delle proposte del Governo. Così si rovescia l’ordinamento democratico, si rottama la Democrazia. Sembra quasi che il Parlamento, sempre più debole e sempre meno attivo, sia già sin d’ora l’“esecutivo” del Governo. Una specie di inversione dei ruoli. Una roba che non accade nemmeno in Azerbaijan.
Secondo me il Senato non dovrebbe essere soppresso o ridotto, bensì potenziato.
[continua]
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P.S.1 Pare che 150 professori universitari (non i “professoroni” del premier) abbiano firmato non so che carta (forse quella igienica) a favore del Sì. Tra i firmatari s’annoverano psicologi, filosofi, specialisti in ingegneria dei trasporti, reumatologi, neurologi, e via leccando. Di costituzionalisti manco l’ombra, o forse solo qualche ombra. Ebbene tra questi professori pare ci sia anche il prof. Elio Borgonovi, il relatore della mia tesi di laurea discussa in Economia delle Amministrazioni Pubbliche. Temo di capire bene perché il mio professore abbia firmato il famoso documento dei 150: affetto da anni da retinite pigmentosa progressiva è ormai un non vedente.
Ma ora mi sorge spontaneo un dubbio ancora più atroce: se è lui che ha letto la mia tesi di laurea, qual è dunque il valore della mia lode in Economia?
P.S.2 – Consiglio la lettura dello svelto libretto: “Lo Stato siamo noi”, raccolta di scritti e interventi di Piero Calamandrei (Chiarelettere, Milano, 2016, 136 pagg.).
Antonio Mellone