Non credevo che i miei articoletti potessero arrivare fino a Collemeto. Potenza dei mezzi della tecnologia. Tipo Alice.
In genere li scrivo per una piccola cerchia di amici con la speranza che inizino a pensarla come una “ristrettissima minoranza di cittadini che non vede di buon occhio la nascita del centro commerciale”, piuttosto che come la nutritissima massa di economisti per caso, vaganti “per strada” o sostanti “davanti al bar” da mane a sera, che invece ne sono i fautori.
Premesso che in genere non mi metto a confutare le elucubrazioni degli altri, specie se da prima elementare, se non proprio da asilo Mariuccia, volevo puntualizzare il fatto che amo troppo Noha (e per la verità anche Galatina e Collemeto) per auspicare per la mia terra l’ennesimo stupro a base di cemento, asfalto, capannoni e vaniloqui con la scusa dello “sviluppo e dell’occupazione”.
Figurarsi, quindi, se “in fondo ma proprio in fondo” volessi un centro commerciale proprio dietro l’angolo di casa mia. Chi se lo dovesse augurare, secondo me, o come al solito non ha capito una beneamata mazza, oppure, se l’avesse capita, non sta poi tanto bene.
Prendo atto delle rassicurazioni in merito all’esistenza dei tanti investitori pronti a investire altrove i loro capitali: evidentemente i loro nomi saranno scritti in cielo, come manco il quarto segreto di Fatima, anzi di Galatina.
Di certo “l’investitore” principale, la fantomatica Pantacom srl, in base ai dati patrimoniali, economici, finanziari che si evincono dagli ultimi bilanci pubblicati non sembra essere, come dire, il magnate ideale, non dico in grado di assumere “i giovani disoccupati” di Collemeto o di risollevare “le attività economiche collemetesi in ginocchio”, ma nemmeno di fare il pieno di carburante alla prima ruspa eventualmente ottenuta in comodato gratuito e pronta a sbancare la povera campagna di contrada Cascioni.
E’ vero che Galatina sta attraversando un periodo di decadenza economico, culturale e sociale, ma non credo che questo dipenda dal pensiero di “una strettissima minoranza di cittadini” - di cui fa parte anche il sottoscritto, da sempre contro il mega-porco - quanto piuttosto dalla larghissima maggioranza di essi. Maggioranza che forse non ha ancora afferrato il fatto che un centro commerciale fuoriporta sarebbe il definitivo colpo di grazia a città e frazioni.
Lo so, lo so che è più divertente una partita a carte davanti al bar (magari giocando a “padrone” davanti ad una birra Peroni - anche se pare che a Collemeto indulgano volentieri alla birra del padrone Perrone, socio Pantacom) che la lettura dei libri (come per esempio il volume di Luigi De Gobbi: “Val-Mart fra Veneto City e Nave de Vero. Come i centri commerciali ci stanno impoverendo” – Edizioni del Faro, Trento, 2014, 15 euro circa) o lo studio dei report sul piccolo commercio che arranca sotto i colpi della grande distribuzione, ma anche degli infiniti articoli sul web sull’esperienza fallimentare della GDO che non sa più (in Italia e all’estero) come far riempire i carrelli dei clienti e quindi far tintinnare le casse, o sull’avvento del commercio on-line che sta rendendo inutili i già esistenti megastore. Ma la realtà purtroppo (o per fortuna) è questa, e non quella delle chiacchiere, appunto, da bar sport.
C’è chi chiama questa roba “pura fantasia”, ma temo che il vero “paese delle meraviglie” sia quello dei castelli in aria, anzi dei centri commerciali d’aria fritta, caldeggiati stavolta da un comitato spontaneo composto a quanto pare da almeno un paio di soggetti: Giuseppe e Bruno. Ovvero, in base alle firme olografe, Bruno e Giuseppe.
Antonio Mellone