Monreale, 4 maggio 1980. Festa del SS. Crocifisso. Il capitano Basile con la sua famiglia, sua moglie e la sua bambina di appena 4 anni, dopo aver assistito alla processione e si avviava per rientrare in caserma, venne sparato alle spalle in mezzo alla folla da tre uomini. La moglie si salvò. Il capitano Basile, gravemente ferito, fu portato in ospedale dove, però non sopravvisse all’ intervento operatorio al quale fu sottoposto. Il trio che partecipò all’uccisione era composto da Giuseppe Madonia, figlio del boss di San Lorenzo, Vincenzo Puccio, ucciso in carcere a colpi di bistecchiera in ghisa, Armando Bonanno poi sparito con la “lupara bianca”. La vicenda giudiziaria per arrivare alla condanna degli assassini del capitano Basile fu lunghissima. A firmare la condanna a morte del capitano Emanuele Basile furono Totò Riina e Francesco Madonia e per loro la condanna all’ergastolo diventò definitiva solo nel 1992, dopo ben sette processi e due sentenze annullate dalla corte di Cassazione.
Basile pagò con la vita il suo fiuto investigativo che lo aveva portato a continuare un' indagine avviata dal capo della Squadra mobile di Palermo Boris Giuliano su un traffico di droga gestito dalla famiglia di Altofonte, stretta alleata dei corleonesi di Riina. Questa è la versione delle sentenze passate in giudicato, ma proprio Pio la Torre riteneva che anche il suo omicidio rientrasse in quello che definiva “terrorismo mafioso”. Non dimentichiamo che Pio La Torre parlava già di Mafia-Stato e di latitanza garantita a Luciano Leggio (Liggio) dallo Stato.
Monreale, 4 maggio 1980. Saverio Masi ha 10 anni e c’è anche lui alla festa del SS. Crocifisso. Ha assistito all’agguato teso al capitano Basile e ha deciso in quel momento che lui catturerà tutti i mafiosi e li assicurerà alla giustizia.
Il resto lo sappiamo, entrato nell’Arma ha prestato eccellente servizio nel Reparto Investigativo dei Carabinieri prima in Campania e poi a fine 2000 arriva finalmente a Palermo con tutte le intenzioni di prendere Provenzano, il latitante più ricercato ma, come ci racconta pure il Colonnello Riccio, senza nessuna intenzione di prenderlo.
Il maresciallo Masi, infatti, a pochi mesi dal suo arrivo a Palermo, individua il luogo in cui si nasconde, ma dovrà verbalizzare che gli viene ostacolata la sua cattura.
Vi immaginate la rabbia di quel bambino che ha visto ammazzare il Capitano Basile e quando finalmente ha la possibilità di realizzare il suo sogno, di catturare il super latitante reo di numerose stragi, viene bloccato? E da chi? Addirittura da chi indossa la sua stessa divisa e anche con qualche stelletta in più!!!
Riuscite anche voi a provare quella stretta allo stomaco che viene pensando alla sua frustrazione quando era in procinto di prendere Matteo Messina Denaro e anche in quella circostanza venne costretto a fare una relazione di servizio in cui denunciava gli ulteriori ostacoli alla sua indagine?
La mafia ha ucciso il capitano Basile con diversi colpi d’arma da fuoco, lo Stato ha provato ad uccidere il Mar. Masi prima togliendolo dal Reparto Investigativo e, nove anni dopo, con una condanna in Cassazione per una multa presa mentre era in servizio di cui, seguendo la prassi in uso, aveva ingenuamente relato una nota di accompagnamento al verbale dichiarando lui stesso invece del superiore che quella multa da 106 euro l’aveva appunto presa mentre era in servizio con un’autovettura privata. Non ha pensato che, non essendo ricattabile in alcun modo ed essendo davvero irreprensibile, avrebbero trovato comunque il modo di fermarlo.
Non sappiamo quale sarà la decisione dell’Arma, se deciderà di espellerlo come pare probabile oppure di lasciarlo in servizio nella scorta del Dott. Di Matteo che nella requisitoria del processo Mori Obinu, il 25 marzo 2013, si esprimeva così:
“(…)troppi esponenti istituzionali chiamati a deporre in quest’aula: politici, funzionari dello Stato e, purtroppo, anche alti ufficiali dell’arma dei Carabinieri. Con i loro silenzi, le loro interessate reticenze non hanno certo onorato la divisa che indossano. Questo, per esempio, è stato il processo in cui alti ufficiali dell’Arma, il generale Subranni e il colonnello Angeli, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere alle domande che avremmo tutti voluto porre loro in ordine a delicatissime vicende nelle quali il loro coinvolgimento derivava dalle affermazioni di altri carabinieri, dalle oneste e coraggiose affermazioni del maresciallo Masi e dell’appuntato Lecca per Angeli, o dalle affermazioni di figli di carabinieri uccisi, il figlio del maresciallo Guazzelli, per ciò che concerne i rapporti tra l’onorevole Mannino e Subranni nel periodo di poco antecedente l’omicidio del maresciallo Guazzelli.(…)”
Qualunque decisione verrà presa, noi sappiamo che i modi per uccidere chi risulti scomodo sono tanti e non necessariamente debbano farne un cadavere e quindi un martire. Spesso è più proficuo isolare, delegittimare per poi sbarazzarsene a norma di legge.
Per questo noi “scorteremo” Saverio Masi e la sua storia la faremo arrivare ad ogni angolo del paese e siamo certi che quel processo che è osteggiato almeno quanto il Mar. Masi, farà luce sulle trame oscure che avvolgono con l’intento di strangolare chiunque lotti per la verità e la giustizia e presto potremo finalmente respirare “il fresco profumo di libertà” di cui ci parlava Paolo Borsellino.
Anita Rossetti