Qualche decennio addietro, a Noha e dintorni, le persone anziane o i vicini di casa mandavano i bambini a fare delle commissioni. A comprare delle cose. Si usava così.
La nostra vicina, la nunna Cetta, moglie de lu nunnu Vitu u quardia, cugino di papà, mi chiese di andare a prendergli il latte dalla bottega di alimentari che c’era in piazzetta Trisciolo. La bottega apparteneva alla famiglia Guido. La nunna Cetta era Guido ed era sorella del marito della signora Tetta Consenti, lu zi N’toni Guido. Questi era anche fratello della nostra nonna materna. Insomma a Noha, gira che ti rigira se non siamo parenti diretti, lo siamo per incrocio di famiglie. Comunque per farla breve, in quel negozio c’era un antifurto a quattro zampe, un cagnolino di dimensioni ridotte, una specie di incrocio tra un volpino ed uno Yorkshire Terrier. Non essendo un frequentatore abituale del negozio, e forse avvertendo la mia paura, il cane cominciò ad abbaiarmi dietro mentre mi accingevo ad uscire con la bottiglia del latte stretta in mano, e io, ovviamente, mi misi a correre impaurito. Non arrivai nemmeno davanti al forno di Gino Maraiuli (buonanima) che finii lungo e disteso per terra fra vetri rotti e pianti disperati. Nel frattempo il cane continuava ad abbaiarmi addosso. Fra le grida di richiamo per il cane, e il suo fracasso, ricordo che il nostro Cici mi si avvicinò e mi aiutò a rialzarmi tamponandomi con il suo fazzoletto la mano che sanguinava. Mi riaccompagnò al negozio allontanando il cane senza dire mezza parola. E qui mi affidò alle cure della signora Tetta che sistemò ogni cosa. Niente di speciale, direte voi, infatti fu un semplice gesto di generosità.
Cici era a servizio di tutti in paese. Chi se lo ricorda ci dice che i suoi “per piacere”, “grazie”, e frasi gentili, erano parte del suo vocabolario. Cosa rara a quei tempi e non è che adesso abbondi. Pare che fosse anche molto malandato e non potendo fare lavori pesanti, viveva un po’ della pietà del paese. In un certo senso, quel giorno, andando a prendere il latte gli avevo fatto concorrenza. Lo chiamavano per piccole commissioni, come per esempio prendere l’acqua alla fontana o bandisciare (pubblicizzare) il vino o l’olio e, a quanto pare, anche gli annunci di matrimoni. Si dice che girasse per le vie del paese con un boccale nella mano sinistra e il bicchiere nella destra, con cui proponeva l’assaggio dei prodotti a chi lo desiderasse. Insomma era la nostra pagina parlante degli annunci economici con servizi inclusi. Senza megafoni né parate, faceva umilmente ciò che gli veniva chiesto.
Quindi Cici don Limone, o “de don Limone”, era povero, ma soprattutto buono. Qualche perla di lingua dice che fosse un bonaccione. Era certamente una persona molto umile, ed è per questo che meriterebbe non dico una statua, ma almeno una via o una piazza in suo ricordo. In fondo Noha appartiene alle persone che vi hanno vissuto e non a personaggi che, seppur illustri e meritevoli del nostro rispetto, con Noha c’entrano come i cavoli a merenda. Non era sposato e non aveva parenti. Quando lo ricordo io, forse, era ospite di Don Lisandro, un maresciallo della Finanza in pensione che aveva sposato donna Elvira Consenti, sorella della Zzi Tetta e figlia di donna Concettina Consenti, che vivevano nella casa di piazza San Michele, all’angolo con via Castello, oggi sede del PD, dove gestivano una merceria/cartoleria.
E’ spontaneo pensare che a quei tempi non mancasse la bontà nelle persone, che chiamando Cici per fargli fare dei servizi, in un certo senso si prendevano cura di lui. E’ naturale anche fare un confronto con quello che accade oggi a Noha e che lo spirito buono di Cici sia ancora presente e vivo nelle persone buone che pure oggi operano a Noha. Perché avesse l’appellativo di don Limone non si sa, mi vien da pensare al buon costume che vige ancora oggi nel paese, quando la gente per indicare le caratteristiche di una persona gli affibbia un terzo nome o soprannome. Lascio a ognuno di voi la libertà di immaginarne la ragione che diede a Cici l’onore del “don” ed il riferimento ad un frutto molto nobile che solitamente si spreme per ricavarne le proprietà disinfettanti, dissetanti e digestive. E, forse, senza volerlo, il povero Cici, è stato spremuto a tal punto da averlo perfino dimenticato.
Marcello D’Acquarica