Una delle frasi che spesso mi ripeto è: “ricordati da dove sei venuto”. Con questo non vuol dire che oggi sia chissà dove, rispetto al punto da cui son partito. È un invito rivolto al mio “io” più profondo che spesso finge di dimenticarsi le sue radici, le condizioni del punto di partenza che Dio (o il fato) ha fissato in Noha. Io, al mio paese natio, devo più di quello che consciamente gli riconosco. Nel bene e nel male, quello che oggi sono, è anche grazie a Noha. Così, devotamente come il più pio dei cristiani, in quelle che solitamente chiamano “feste comandate”, faccio visita al paese in cui son nato. Sia chiaro, a Noha ho la mia famiglia, ma in un modo o nell’altro tornerei comunque a trovarla come una paziente in ospedale, senza sapere, magari, che il vero malato sono io e lei è solo una delle tante “false invalide”. Ma da quello che sento e che purtroppo ho visto con i miei occhi, mi sembra che qualche serio acciacco ce l’abbia veramente.
Così, in preda alla più aggressiva nostalgia, appena arrivato, mi sono recato a visitare il presepe vivente certo che, quanto a bellezza, non sarebbe stato da meno rispetto a quello degli anni passati. E avevo presagito bene: la capacità dei volontari di innestare novità è sorprendente; magari ci fossero persone traboccanti di buone idee anche in politica. All’ingresso del presepe ho incontrato due persone: Antonio e Albino, munite di telecamera e sorriso. Ci siamo salutati e ci siam promessi di vederci almeno prima che io ripartissi, sapendo già che sarebbe stato impossibile. Così mi sono accontentato dei soli saluti, il che non è cosa di poco conto, visti i tempi che corrono. Poi ho fatto un giro sulle strade che stringono Noha in una morsa e, miracolo dei miracoli, quelle piazzole di sosta che furono sgomberate dai rifiuti da tante donne e uomini di buona volontà, erano ritornate come prima, o forse peggio. Dov’è il miracolo? Vi sembra poco che l’immondizia risorga? Rifiuti di ogni genere, ammassati uno sopra l’atro, a vilipendio di ogni sorta di amor proprio, figuriamoci per quello altrui. Così, in preda all’incazzatura mi son detto: vai in chiesa, non c’è posto migliore per rincuorarsi. E così, tra tutte, ho scelto quella più vicina al calvario che finalmente svettava restaurato e senza transenne. E, per opera dello Spirito Santo, sono riuscito ad accedere all’interno della Chiesa “Madonna di Costantinopoli”. Vi descrivo l’esperienza usando il tempo presente per rendere meglio l’idea. Un freddo gelido e umido mi fracassa le ossa. Guardo il crocefisso da lontano e mi accorgo che profonde spaccature hanno lacerato la sua carne. Ma no, non pensate che siano i segni della passione; è quel freddo maledetto e quella sciocca indifferenza umana che sta ancora facendo tremare Cristo sulla croce. Persino il sangue si è raggelato nelle ferite. Così avanzo per guardarlo da vicino, e per quanta l’emozione, pare che stia per parlarmi: è come se volesse dirmi “finalmente qualcuno; non permetterti di andare via prima che tu non mi abbia tirato giù da qui”. Ma non lo avrei potuto fare, me ne avrebbero dette di ogni. E mi sono vergognato della mia impotenza. Così, mentre egli tenta di parlarmi ma non gli riesce per il freddo, mi reco in sagrestia dove un profumo (o una puzza) mi azzanna le narici. Sul tavolo ci sono decine e decine di bicchieri di plastica sporchi di caffè, pasticciotti interi e qualcuno con segni di morsi, briciole dappertutto e gocce da ogni parte. Qualcuno, per riscaldarsi da quel freddo burbero, aveva pensato bene di ristorare la sua anima con crema pasticcera e caffè bollente, magari durante un funerale. E ben venga. Ma poi quel qualcuno si è dimenticato di pulire, lasciando a nostro Signore le briciole e un aroma nauseabondo. Si son dimenticati che è lì, ancora inchiodato sulla croce. Gliele avessero almeno messe vicino quelle briciole, anche se poi, Lui, le avrebbe comunque rifiutate come una spugna zuppa d’aceto. Ma fortunatamente lo Spirito Santo mi riapre le porte ed esco fuori da quel freezer, avendo salutato prima il crocifisso e avendogli promesso che presto sarei tornato.
Fabrizio Vincenti