No, non si tratta solo di uno scherzo da parte di un vecchio marpione improvvisatosi “giornalista”: la quercia vallonea di San Sebastiano la stanno abbattendo per davvero.
Ma mica di notte, come i ladri: giorno dopo giorno, invece, alla luce del sole.
Vabbè, non si sono ancora viste le cinque seghe elettriche descritte nel pesce d’aprile on-line (per ora solo quelle mentali), né i bisonti della terra (per ora solo camaleonti della terra, quelli che un tempo lottavano per lo “stop al consumo di territorio”), né sono stati tagliati i rami più alti di quell’albero monumentale con l’utilizzo di un’autogru (per ora ne hanno solo tranciato di netto un bel pezzo di apparato radicale, così, tanto per fare una prova); ma la quercia vallonea, di fatto, sta per essere ridotta in pellet dalle parole a vanvera di alcuni benpensanti galatinesi (quelli “ché la quercia non ha più di ottant’anni di vita”) e soprattutto dal silenzio-assenso della cosiddetta “politica locale” (immaginatemi mentre traduco queste ultime virgolette con un cenno vago e circolare della mano, come a precisare quanto codesta locuzione si possa utilizzare a Galatina solo a patto di interpretarla in un senso tutt’altro che letterale).
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Sì, la quercia vallonea muore, eccome, quando si buttano giù gli alberi come fossero birilli, quando si pensa che la “circonvallazione” (fra virgolette) può finalmente andare avanti nonostante la sua inutilità i costi e soprattutto la sua dannosità, quando il consumo di suolo con cemento e asfalto viene venduto dai boia dell’ambiente con la solita solfa per allocchi (“ricadute occupazionali” e “volano per lo sviluppo”), e quando anziché arrampicarsi sugli alberi per cercare di salvarli ci si arrampica sugli specchi per pararsi il culo.
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Questi vandali (o vangàli) di coorte riescono a far danni anche in nome delle buone intenzioni. A Noha, per dirne un’altra, di fronte alle scuole elementari/medie han pensato bene di creare un’area da destinare a giardino botanico (ampollosamente definito orto didattico, anche per giustificare la spesa pubblica dei fondi FESR). Ebbene, non ci crederete: sono stati capaci di fare disastri anche in questa occasione, coprendo una buona percentuale di quell’appezzamento di terreno con larghe carrare di fricciu ed altro materiale da risulta (“sennò i bambini si sporcano le scarpe”), sicché il suolo da adibire alla coltivazione è ormai circoscritto in poche ristrette aiuole superstiti. E qui non si capisce bene se la didattica consista nell’insegnare ai ragazzi la tutela, la salvaguardia e l’utilizzo agricolo di tutti i centimetri quadrati di campagna a disposizione, ovvero come trasformare un appezzamento di terreno in un orto bottanico.
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Nel frattempo i signori del palazzo continueranno imperterriti a costruire nuove strade piuttosto che rifare i numerosi asfalti sbiaditi e crepati, cosparsi di gobbe e crateri, anzi pozzi artesiani e tratturi pieni di sassi assetati che bramano di bere alle coppe dell’olio e buche traditrici che complottano attentati ai semiassi. Grandi opere inutili anziché piccole e necessarie.
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A Galatina e dintorni funziona così. Pare che qui il vocabolario e la grammatica della “custodia del creato”, visti certi humus, tarderanno ancora un po’ prima di attecchire.
Si vocifera addirittura che per Mimino nostro (sindaco più che di un comune verde ormai di un comune al verde) il lemma “boschi” altro non evochi se non un’avvenente ministra del suo stesso partito.
Antonio Mellone