Il 13 dicembre 2012 è stato pubblicato per i tipi dell’Editrice Salentina il volume di AA.VV. “La nostra Chiesa – Sessantesimo di sacerdozio di Mons. Mario Rossetti 1952-2012” a cura di Domenica Specchia. Il bel libro a colori con molte foto d’epoca è in distribuzione gratuita a Galatina in via Roma presso la chiesa di Santa Lucia. In questo volume, tra gli altri, troviamo il “breve” saggio di Antonio Mellone, nostro collaboratore, di cui vi proponiamo di seguito la seconda di tre parti.
Sempre l’altro giorno, nella sacrestia della chiesa di Santa Lucia, mentre conversavo con il mio amico prete parlando del più e del meno, mi sovviene il fatto che il sessantesimo anniversario di sacerdozio di don Mario avviene in concomitanza del cinquantesimo compleanno del Concilio Ecumenico Vaticano secondo (ed anche – guarda un po’ – del sessantesimo di sacerdozio di papa Benedetto XVI). Non so se la mia sia una sorta di visione agostiniana della storia (quella che ti porta a dare rilievo a certe coincidenze o “ricorsi” storici, quale espressione della divina provvidenza nella vicenda umana ed ecclesiale), sta di fatto che a volte mi capita, come in questo caso, di fare dei collegamenti fra certe date memorabili.
Lo comunico a don Mario e noto nei suoi occhi come un lampo misto di commozione e letizia. E’ come se si rivedesse, lui, giovane prete con appena dieci anni di messa, in quel mattino dell’11 ottobre 1962, alba di un’era nuova, allorché le campane della chiesa universale iniziavano a battere rintocchi di tempi nuovi, mentre duemila vescovi giunti a Roma da tutto il mondo cantavano il più fremente Veni Creator Spiritus che la storia registri. Nasceva un’era nuova, e un modo inedito con il quale la chiesa si presentava al mondo. E don Mario, da un’altra piazza San Pietro, quella della sua Galatina, partecipava con trepidazione a quell’impulso di rinnovamento tanto atteso anche da lui.
Il Concilio era una “rivoluzione” (don Mario non ha mai utilizzato codesto lemma, ma allo scrivente il termine è molto caro), una sorta di vomere pronto a tracciare un solco di tale profondità da far sentire ancora oggi il sussulto delle sue fenditure. Una lama che sta ancora arando e dissodando. Ed è come se l’aratura fosse iniziata ieri.
Molti documenti del Concilio attendono ancora di essere scoperti, studiati ed applicati, onde consentire alla chiesa di percorrere la sua strada fino in fondo, talvolta alla ricerca dell’Umanità perduta. Se lo si guarda in questa prospettiva, il Concilio, tutt’altro che “chiuso”, può dirsi ancora oggi appena incamminato verso vie mai percorse, né ancora immaginate.
Don Mario mi ricorda, a proposito, che il 1965 fu l’anno dell’inizio delle celebrazioni nella lingua materna. L’italiano, dopo la millenaria tradizione del latino, viene finalmente utilizzato nella messa, nell’amministrazione dei sacramenti e nel canto. Ed aggiunge che i primi sacerdoti di Galatina ad indossare il clergymen (cioè l’abito scuro composto da giacca, pantaloni, pettorina e collare bianco) furono lui ed il carismatico don Salvatore Bello. Gli altri li seguirono, sì, ma a distanza di anni, se non di decenni.
Potrebbe sembrare una banalità, ma anche il cambio di un vestito poteva essere un trauma. Dopo anni ed anni di talare (cappello incluso), usata a partire dai tempi del seminario anche d’estate sotto il sole cocente, non era mica facile far capire innanzitutto a se stessi, e poi al popolo, che non è l’abito a fare il monaco.
Antonio Mellone