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A proposito della storia infinita della vecchia scuola elementare di Noha. Quisquilie/2 (parte terza di quattro)
Di Antonio Mellone (del 16/09/2012 @ 00:00:00, in Ex edificio scolastico, linkato 3392 volte)

Ritornando alla nostra bella (ma ancora addormentata) scuola, non si può non evidenziare un altro paio di inezie: quisquilie, le abbiamo definite, rispetto alle enormità di cui parleremo nella quarta (ma non ultima) parte di questi scritti.
Un’altra di queste bazzecole è rappresentata dai bianchi infissi in alluminio (o PVC, o qualcosa del genere). Pare siano all’avanguardia, con tanto di tenuta ermetica, isolamento termico, vetrocamera doppia, guarnizioni a prova di piogge monsoniche, alluvioni, tempeste tropicali, e funzionali addirittura al comfort acustico. Sennonché una delle cose che salta subito anche all’occhio più distratto (o lesso) è questa. Come mai questi serramenti, belli, nuovi, stupendi, spettacolari, all’ultimo grido (appunto), non sono dotati di imposte (cioè ante, o scuri, o persiane)? Se si volesse cioè proiettare in pubblico qualcosa su di uno schermo – tipo un film o una lezione - come si fa a ricreare il buio necessario? Forse sarà previsto (ma non lo si sa ancora: è un segreto) che il centro sociale funzioni soltanto di sera, previo spegnimento di tutte le luci pubbliche e private ubicate nel raggio di un paio di chilometri dalle vecchie scuole elementari di Noha. Potrebbe essere, ma c’è il rischio di una luna troppo luminosa.
Chissà se tra le attrezzature e gli arredamenti (a proposito, siamo ancora in attesa della famosa lista che l’assessore Coccioli s’era impegnato di inviarci) sono previste le imposte per quelle meravigliose finestre? O forse che le “imposte” sono quelle che dovremo sborsare ancora una volta noi cittadini per ovviare a questa sorta dimenticanza? Ma sì, potremmo coprire ermeticamente i vetri delle finestre con dei giornali (magari con “il Quotidiano di Lecce” – è l’unica funzione per cui crediamo sia stampato) con tanto di scotch e di nastro isolante. Vuoi mettere il divertimento ogni volta? E poi quel che conta non è che si veda, ma che si senta.
E a proposito di sentire, chissà se sono previsti, oltre ad un minimo sindacale rappresentato da sedie e scrivanie ed un proiettore, anche degli impianti sonori (microfoni, altoparlanti, amplificatori) per quell’aula magna di 120 mq, o se invece tra le caratteristiche da richiedere al relatore di turno non ci sia quella delle tonsille da tenore o soprano, mentre a tutti i partecipanti ai convegni verranno distribuiti degli apparecchi auricolari a cura dello sponsor ufficiale – bisogna pur trovarne uno – come potrebbe essere la Amplifon? Anzi si potrebbe far così: l’oratore incaricato, se proprio volesse venire a conferire con i nohani, dovrebbe portarsi dietro, come minimo, microfono e cassa acustica (la prolunga con un po’ di sforzo potremmo pure mettercela noi). 
Ve lo immaginate un Carlo Rubbia (o un Umberto Eco, per dire) che fa il diavolo a quattro pur di presentare la sua lectio magistralis nella nostra scuola di Noha testé restaurata, e noi che, sdegnati, lo rimandiamo indietro sol perché ha scordato di contattare (lui, non noi) il service per l’amplificazione? “Nossignore, senza quei marchingegni qui non se ne fa nulla”.
E che il tizio non si azzardasse a voler proiettare su di uno sfondo bianco la lezione preparata in Power Point. Ma chi si crede di essere questo qua? Un professorone? Se ne stesse a casa sua, ché noi stiamo bene così.
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E, in questo viaggio tutt’altro che virtuale presso la nostra scuola terminiamo questa puntata sul marciapiede (c’è il rischio che sul marciapiede ci finisca un’intera comunità). Orbene, non so se avete avuto modo di dare un’occhiata o di camminare sui marciapiedi che circondano per tutto l’isolato quella scuola. Qualcuno potrebbe pure averci dato un’occhiata, ma di sicuro nessuno ci avrà potuto camminare. Dire che quei marciapiedi sono pericolosi è dire poco: sconnessi, pieni di buche, e con mattoni sollevati, rotti, ondulati a mo’ di cunette e dossi. Il mite ingegnere Memmi ci ha riferito che “non era nel capitolato il rifacimento del marciapiede perimetrale”. Certo Ingegnere. Ma crediamo non fosse nel capitolato nemmeno il fatto che l’impresa che per questo bel lavoro pubblico sarebbe stata remunerata con 1.300.000 euro di soldi nostri dovesse rompere i marciapiedi (e non solo quelli perimetrali) per poi lasciarli in balia della trascuratezza, come si dice, fregandosene bellamente. Chi li avrebbe ridotti in quello stato? Mia nonna? Le prove di questo sono inconfutabili, caro ingegnere, e le capirebbe anche un bambino di scuola elementare. Appunto.

Antonio Mellone