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La sindrome di Stoccolma
Di Marcello D'Acquarica (del 21/05/2012 @ 00:00:00, in NohaBlog, linkato 2856 volte)

La sindrome deve il suo nome al furto alla "Kreditbanken" di Stoccolma del 1973 durante il quale alcuni dipendenti della banca furono tenuti in ostaggio dai rapinatori per sei giorni. Le vittime provarono una forma di attaccamento emotivo verso i banditi fino a giungere al punto, una volta liberati, di prenderne le difese e richiedere per loro la clemenza alle autorità.
A quanto pare ci si abitua proprio a tutto, anche al peggio: alle dittature, ai ladrocini legalizzati, allo sfaldamento della Costituzione, alle violenze dei terrorismi, persino alle guerre. Se però proviamo a riflettere meglio ci sorprende la caciara, l’affanno, la frenetica e pavoneggiante esternazione del candido politichese dei nostri soliti noti, sia locali che nazionali. Viene spontaneo immaginare quanto sia cosa gravosa la responsabilità del bene comune, una faccenda di cui preoccuparsi seriamente prima di disporre la propria candidatura. Insomma viene da chiedersi chi e che cosa ce la fa fare a metterci al servizio della comunità.
Ma, allibiti davanti a così tanta bramosia per l’amor patrio di incalliti e pseudo servitori del popolo, restiamo poi altrettanto disarmati di fronte allo scempio economico ed ai danni irreparabili prodotti da questa politica da spettacolo televisivo. Qualche decennio addietro, la televisione esprimeva il dieci per cento della comunicazione perché c’erano pochi canali e pochi televisori per cui i politici erano spesso in strada a sgolarsi di persona. Forse il contatto con la vita reale, con le arrabbiature dei cittadini vittime delle ingiustizie istituzionali, con il dolore e con i drammi, conteneva l’ardire in profitti e tornaconti personali a sbafo delle casse pubbliche. Oggi invece viviamo di una esasperante informazione, talmente complessa e variegata da faticare non poco a discernere la verità. Questa però ci sbatte davanti mille problemi che ci attanagliano peggio della peste nera: tagli dei servizi sociali, IMU, tasse in aumento, tagli sulle pensioni, rigorose finanziarie, ecc. Dall’altra parte della barricata, di contro, si continua imperturbabili a effettuare appropriazioni indebite, abuso di potere, a non tagliare il numero dei parlamentari, dei finanziamenti pubblici ai partiti, dei privilegi, ai nepotismi di potere, alle regalie di eccellenza, ecc.
Vien da chiedersi che vita sia questa! Dove è finito il progresso che porta benessere? Dove sono i propositi del neo liberismo capitalista che dovrebbe alleviare le fatiche dell’uomo asservito dalle macchine? Dove è finito l’uomo?
Sono passati 150 anni dall’Unità d’Italia e quasi duecento dalla nascita delle principali repubbliche dell’Europa, ma l’emancipazione politica stenta a decollare, quella religiosa (solo istituzionale) non ne parliamo proprio e quella umana regredisce vertiginosamente. L’uomo in quanto persona di corpo e spirito, nella nostra società moderna non esiste se non nel suo prodotto, che per la maggior parte di noi è il denaro, per il resto siamo solo numeri tipo “esodati”. Quello che è terribilmente chiaro ed altrettanto tremendamente disatteso è questo rassegnato assistere ad un fare politica che ha travisato del tutto il suo originale significato.
A questo proposito che cosa facciamo noi popolo sovrano di questa democrazia?
Ci ostiniamo a subire rassegnati raggiri e soprusi, persistiamo ad eleggere venditori di burlesque e profittatori del bene pubblico. Basta un nuovo reality show, o pseudo campionati sportivi, travolti a loro volta da corruzioni e legali trattamenti dopati, per farci distrarre dai disastri reali in cui vengono travolte intere famiglie. La comunicazione mediatica ci sfianca (o ci inebria a seconda dei casi) da mattina a sera con la globalità dei drammi e con spettacoli  che vorrebbero passare per esilaranti, vedi per esempio il grande fratello,  ma che invece esprimono la tragicità di certa cultura delle banane.
Quello che stiamo vivendo in balia di questa strana crisi senza fine, ci sta portando tutti verso la sindrome di cui sopra e cioè ad essere ostaggi e vittime ma anche affezionati indefessi dei politici di turno, di cui prendiamo le difese sostenendoli in tutte le campagne elettorali nonostante i fallimenti e ancor peggio, le conclamate  malefatte. Questa incapacità di liberarci dal male in questione ci porta a vivere una condizione sociale sempre più servile e antidemocratica. Nemmeno le reazioni violente di “paventati terroristi” ci aiutano ad aprire gli occhi. D’altronde a poco serve chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati.
Pasquale Villari, nel suo “Lettere Meridionali” (*), sulle condizioni della popolazione meridionale affetta dal brigantaggio, scriveva: “…affinché  il popolo stia bene e non si lamenti del disagio occorre lavarlo e dargli la possibilità di lavorare e permettergli una vita dignitosa”. Molto spesso invece i nostri politici sono solo capaci di lamentarsi della scarsa preparazione culturale dei nostri giovani, del loro mammismo, spesso sentiamo le voci istituzionali riempirsi la bocca di appelli al ritorno dei valori, della famiglia, dello studio, del rispetto delle regole, ecc. Accuse e appelli senza senso perché sovente ci hanno dimostrato essere mancanti di coerenza e non pertinenti alla gravità contingente. Insomma sembra che chi pretende di farci da guida viva su un altro pianeta. Gli ideali, così come i valori, sia politici che religiosi, sono la linfa dell’emancipazione umana, ma quando il profitto è l’unico spiraglio di luce che riusciamo a vedere in fondo al tunnel, non solo quella luce potrebbe essere l’arrivo di un cataclisma,  ma soprattutto non tiene conto della vita reale delle famiglie. La famiglia, per chi se ne fosse dimenticato, è fatta di sacrifici e di responsabilità che non si possono demandare a nessuno. Quando da certi pulpiti “satolli fino alle orecchie” si lanciano appelli alla moderazione ed al cambiamento dello stile di vita rivolgendosi a chi fa già i salti mortali per campare, il risultato che si rischia di ottenere è  esattamente il contrario di quello desiderato, e cioè lo svuotamento delle chiese e l’invasione delle piazze.

(*) Le lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in Italia, La camorra, la mafia il brigantaggio; Pasquale Villari; 1979, Guida Editori s.r.l.,  via Port’Alba 19, Napoli.

Marcello D’Acquarica