«GUARDARE AL FUTURO», URCA!
Il papa è a cuba e se avesse fumato un cubano avrebbe fatto più bene a sé e all’umanità, invece ha detto una banalità che più grande non si può: «Bisogna guardare al futuro». Perché quando è andato negli Usa non ha detto che gli yanchees dovevano guardare al futuro di Cuba che hanno ucciso e affamato con il loro embargo da 60 anni?
Prendo atto che il papa parla da diplomatico, cioè si adegua alla mentalità del mondo presente e si discosta dal Vangelo; ma so anche che a lui non è stato dato alcun mandato di diplomazia, ma gli è stata consegnata una Parola/Profezia che deve essere detta nella logia del «sì,sì; no, no».
Anche il cardinale Bagnasco nella sua prolusione al parlamentino dei Vescovi ha parlato della crisi, con le solite litania: la famiglia, la persona, i giovani. Mai una critica o una proposta di soluzione; mai una parola di chiarezza sulle ingiustizie che l’attuale governo sta perpetrando a danno dei poveri. San Paolo insegna che il salario dell’operaio non è una benevola concessione o beneficenza del datore di lavore, ma un debito di questi verso chi gli offre il contributo del suo lavoro (cf Rm 4,4): è uno scambio alla pari, un contrattio giuridico e civile.
Lo stesso concetto si trova in Matteo: «chi lavora ha diritto al suo nutrimento» (Mt 10,10) che la Costituzione assurge a «fondamento» della natura stessa della Repubblica: «L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro» (art. 1). Da ciò si deduce che se il lavoro è strettamente connesso con il nutrimento, chi non lavora è destinato alla morte perché è privo di mezzi di sussistenza.
Difendere la vita allora significa soprattutto difendere il lavoro e il lavoro per tutti, un lavoro adeguato e pienamente soddisfacente a sostenere la vita che non è solo mangiare, defecare e dormire, ma anche cultura, tempo libero, amicizie, volontariato, scuola, istruzione per sé e per i propri figli, ecc.
Se i vescovi facessero i vescovi e invece di fare finta di parlare ai politici in forza della regola «parlo a suocera perché nuora intenda», forse avrebbero più libertà interiore, più consapevolezza della Parola di Dio, sarebbero più immersi nella vita di ogni giorno, si appellerebbero sempre meno ai «principi non negoziabili» e si abbarbicherebbero alla vita come si snoda giorno dopo giorno, crisi dopo crisi nella carne viva delle persone che combattono dentro la Storia dell’oggi. Forse, però, è chiedere troppo.
Paolo Farinella, parrocchia San Torpete
Genova 27-03-2012
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