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La Quaresima e la Pasqua dall’archivio della mia memoria (prima parte di due) di P. Francesco D’Acquarica imc
Di P. Francesco D’Acquarica (del 26/02/2024 @ 19:22:42, in NohaBlog, linkato 528 volte)

Eccoci di nuovo noi battezzati invitati a vivere la Quaresima.

Ma cos’è ? Certo, una parola questa che non suscita entusiasmi.

Viviamo in un mondo distratto delle cose dello spirito. Il carnevale è molto più incisivo e presente. Alle persone più mature questo termine richiama alla mente immagini piuttosto cupe, immagini di severe penitenze, di rinunce, di insistenti considerazioni sul proprio peccato. Oggi,  quasi  neanche ce ne accorgiamo che è Quaresima.

Anche la Chiesa ha ridotto le forme di penitenza pubblica: un po’ di digiuno e astinenza dalle carni il mercoledì delle Ceneri e il venerdì santo, e privarsi della carne ogni venerdì fino a Pasqua: tutto questo come segno di attenzione per evitare i peccati. E’ il caso di dire che il Signore si accontenta anche delle briciole.

Quando ero piccolo la tradizione alimentare del periodo Quaresimale era caratterizzata da grande moderazione: infatti venivano eliminati dalle tavole la carne (che comunque a casa mia si mangiava solo due o tre volte l’anno), le uova, i latticini e i loro derivati. Sulla pasta, invece del formaggio grattugiato si metteva pane crattatu. Tali privazioni terminavano durante la Settimana Santa quando si preparavano i dolci tipici pasquali, tra questi la "Cuddhrura", dolce di forma circolare, con dentro un uovo sodo con tutto il guscio, che i fidanzati regalavano alla loro ragazza nel giorno della Resurrezione.

Per la Quaresima lungo i secoli si sono sviluppate pie pratiche e si sono aggiunte manifestazioni popolari. La parola stessa vuol dire “quaranta giorni”, che poi, se li contate, dal mercoledì delle ceneri fino a Pasqua sono più di quaranta. Anzi prima della riforma liturgica programmata dal Concilio Vaticano Secondo (1962-1965) c’era anche la quinquagesima (50 giorni), la sessagesima (60 giorni) e la settuagesima (70 giorni): parole queste ormai abolite. Quaresima (40 giorni dunque) è solo per dire a chi è battezzato che bisognerebbe dedicare un periodo di tempo abbastanza lungo per prepararsi spiritualmente alla Pasqua.

Chi scrive questi ricordi ha in mente altre usanze che sono esistite e vissute anche a Noha. Ve ne ricordo qualcuna, anzi diciamo subito che alcune sono ancora vive e vegete pur con delle varianti.

La Curemma

Possiamo cominciare dalla Curemma. Ai tempi della mia infanzia si usava esporre sui balconi o sulle terrazze un fantoccio, simbolo dell’inizio della Quaresima e della fine del Carnevale. Il fantoccio raffigurava una vecchia signora, magra e orrenda, tutta vestita di nero in segno di lutto per la morte del Carnevale. Nella mano destra aveva un filo di lana con un fuso, simboli della laboriosità e del tempo che scorre, e nella sinistra una marangia con dentro infilate sette penne di gallina per quante erano le domeniche mancanti dalla Quaresima alla Pasqua. L'arancia amara (o marangia) con il suo sapore acre rappresentava la sofferenza, e le sette penne, le settimane di astinenza e sacrificio antecedenti la Pasqua. Ad ogni scorrere di settimana si toglieva una penna. Alla fine del periodo, esaurito il filo da tessere, con la marangia  ormai secca e le penne esaurite, la curemma veniva rimossa dal terrazzo e appesa a un filo su di un palo. Una volta, quando la Pasqua di Resurrezione si celebrava la mattina del sabato santo, nel momento della caduta dellu mantu o pannu e il suono delle campane annunciava la Resurrezione, veniva bruciata con scoppi di mortaretti tra l’allegria di tutti, mentre il fuoco annunziava il periodo di purificazione e salvezza.

Secondo un’antica leggenda la Curemma era sposata con lu Paulinu, personaggio carnevalesco appartenente al folklore salentino, di cui si celebravano i funerali il martedì grasso. Il pupazzo della Curemma veniva costruito con grande cura e attenzione ai dettagli. La sua faccia era solitamente molto espressiva, con occhi sporgenti e bocca aperta, come a indicare il dolore e la sofferenza del peccatore. Le sue vesti erano anch’esse curate nei minimi particolari, con abiti stracciati e cappelli di paglia.

[continua settimana prossima con la seconda e ultima parte]

 

P. Francesco D’Acquarica