“Chiudiamo le scuole!”, urlava nel 1914 Giovanni Papini nel suo pamphlet contro le scuole, definendole “casamenti di grande superficie, dove molti uomini si rinchiudono o vengono rinchiusi”, “reclusori per minorenni istruiti per soddisfare a bisogni pratici e prettamente borghesi”, “ il mezzo più decente per levarsi di casa i figlioli che danno noia” e ancora “fabbriche privilegiate di cretini di stato”. (scarica il pamphlet di Papini in allegato all’articolo).
Le provocazioni di Papini per certi versi suonano alquanto attuali pur risalendo all’inizio del ‘900. Ancora oggi sentiamo dire da più parti che la scuola “non insegna quasi mai ciò che un uomo dovrà fare effettivamente nella vita, per la quale occorre poi un faticoso e lungo noviziato autodidattico”, “appena passati gli esami e ottenuti i diplomi bisogna rivomitare tutto quello che s’è ingozzato in quei forzati banchetti e ricominciare da capo”. Tuttavia nei secoli la scuola e i metodi di insegnamento hanno fatto molti passi in avanti, è cambiato il rapporto tra studente e professore che non è più visto come colui che “detta il suo verbo dall’alto” o che si abbandona alla “sadica voluttà di potere annoiare, intimorire e tormentare impunemente qualche migliaio di bambini o di giovani”. Giovanni Papini qui si riferisce ovviamente ad un ambiente scolastico ormai ampiamente superato, ma leggendo il pamphlet alcuni aspetti sembrano ritornare ancora oggi e se non fossero così intelligenti quelle stesse parole starebbero bene sulla bocca di un qualsiasi politico della seconda repubblica.
Oggigiorno si sta cercando di arrivare per vie traverse alla chiusura della scuola pubblica, ma i motivi sono ben distanti da quelli che saggiamente era riuscito ad argomentare allora il Papini (motivi alquanto discutibili, risibili se vogliamo), ovvero la libertà di imparare a contatto con la realtà, di vivere la fanciullezza e la giovinezza senza alcun incarceramento scolastico, la libertà di scegliere. Il sistema scolastico italiano è come un superstite di una guerra (di riforme che si sono rovinosamente avvicendate negli anni), che l’ha portato in uno stato confusionale tale per cui vivacchia, cerca di tirare avanti giorno dopo giorno grazie alla buona volontà di chi gli sta intorno, ma sa che prima o poi dovrà farla finita.
Attenzione, i Papini di oggi non si vogliono più uccidere la scuola in quanto “casamento o reclusorio”, ma piuttosto “le ragioni della civiltà, l’educazione dello spirito, l’avanzamento del sapere” di cui è garante nella società. Il guaio è uno solo, direbbe Papini rivolgendosi ai nostri politici, “Nessuno – fuorché a discorsi – pensa al miglioramento della nazione, allo sviluppo del pensiero e tanto meno a quello cui si dovrebbe pensar di più: al bene dei figliuoli”.
Michele Stursi