\\ Home Page : Articolo : Stampa
Enzo Cerfeda, l’ultimo ambulante di Noha
Di Antonio Mellone (del 18/09/2021 @ 16:06:59, in Fetta di Mellone, linkato 1285 volte)

Il signore della foto si chiama Enzo Cerfeda, proviene da Galatone ed è un resistente. Nossignore, non ha mai fatto parte del Comitato di Liberazione Nazionale (oltretutto ha meno anni di quanti ne basterebbero per arrivare in retromarcia fino a una sua eventuale partecipazione attiva agli eventi della seconda guerra mondiale), ma è uno che va avanti per la sua strada e continua imperterrito ad allestire la sua bancarella al mercatino nohano da circa 35 anni. Lo fa nonostante tutto, nonostante molti suoi colleghi, anche per via di un virus, sembra abbiano preso un periodo sabbatico.

Sta di fatto che alle sette e mezzo di ogni lunedì mattina Enzo ha già bello e pronto il suo banchetto michelangiolesco (nel senso di via Michelangelo, la via della “chiazza”) con i suoi articoli, e lo fa anche se fosse l’unico (e non è la prima volta) ad aprir bottega.

La sua mercanzia è la biancheria intima uomo-donna e bambino. “Ma le mie clienti – dice - sono soprattutto, anzi esclusivamente donne, perché l’uomo di certe cose non capisce niente; e meno male che ci pensano le mogli, o le mamme o le zite, ché il maschio non saprebbe nemmeno cosa mettersi addosso”. Così continua Enzo nel suo ragionamento: “C’è un calo nelle vendite di noi ambulanti, è inutile che ci giriamo attorno, perché i grandi magazzini ci stanno facendo la guerra da anni e con due lire ti riempiono le borse di cose, per non parlare dei computer [nel senso che oggi si va al mercato restando seduti di fronte a uno schermo, ndr.]. Ma io qui ho le mie signore affezionate che da anni mi ordinano i capi che servono – hanno pure il mio numero di telefono - e io me li segno su questo libretto, e quando ritorno al mercatino la settimana successiva glieli porto”.

Bravo, Enzo, altro che master in Marketing alla Bocconi: così si fa andare avanti qualsiasi baracca (in senso ampio), con la relazione, il contatto stretto, i rapporti umani (cose che ipermercati e grandi piattaforme nemmeno immaginano), e ovviamente con la qualità. Certo, la lotta contro i boccaloni che credono a tutto, tipo che al centro commerciale si risparmi, è persa in partenza, ma per fortuna ci sono ancora persone che continuano ad aver riguardo al valore del tempo, al radicamento storico, al codice etico, arcaico forse ma ancora sacro, e a una cultura fatta di identità e comunità, dunque di rispetto prima di tutto di se stessi e quindi degli altri.

Sicché, accorciare le distanze non significa vietare import ed export, ma provare a non andare altrove per trovare quel che si ha a portata di mano, magari sotto casa. Questa è l’idea di una nuova economia: quella che allarga non riduce in monopoli, moltiplica non sottrae ricchezza (quella vera), radica non delocalizza, distribuisce non concentra nelle mani di pochi e a danno dei più. Per non parlare delle tassazioni ridicole dei profitti enormi intascati da piattaforme e multinazionali (e non c’è nemmeno più il bisogno per lor signori di svignarsela nei paradisi fiscali): tanto dopo è sufficiente distrarre il gregge con la lotta orizzontale al povero cristo che omette uno scontrino e il consenso è assicurato.

Continuate pure su questa falsariga – sembra dirci Enzo Cerfeda, esperto dell’underwear – ma poi non lamentatevi se da qui a non molto rimarrete in mutande. Anzi senza.

Antonio Mellone