Per ovvi motivi lo scorso anno non ho potuto - e temo non potrò nemmeno nel corrente – ricevere inviti da licei o da altre istituzioni scolastiche per le mie Conversazioni sull’Economia, altrimenti dette Corsi di Disorientamento, giacché autori come per dire Leopardi o Manzoni avrebbero sui temi economici più peso specifico di un Premio Nobel del settore. Stiamo parlando di lezioni in presenza, ché la didattica a distanza, mi spiace per ragazzi insegnanti e genitori, oltre a essere una faticaccia per tutti rischia di costituire un ulteriore impulso alle disuguaglianze, preludio delle ingiustizie. Mi mancano, dicevo, codeste lezioni dalle quali ho sempre ricevuto di più di quanto non abbia mai restituito, visto che insegnare è il miglior modo per imparare, e che la partita doppia in molti ambiti, tipo questo, è una scemenza distopica.
Insomma, tra le cose che vorrei trasmettere agli allievi, oltre a quelle già a suo tempo dette e scritte, v’è anche il fatto che lo studio (certo, dipende anche da cosa si studia e come) è il miglior antidoto contro il tifo, vale a dire la febbre enterica che trasforma l’uomo in un tifoso. E proprio in questi giorni se n’è registrato il picco di contagi tra chi sosteneva un governo, chi faceva finta di opporvisi e chi, con brio clownesco, lo ha apparentemente rottamato: ecco, solo l’immune dal tifo avrebbe certamente compreso che da tempo immemore in questa cosiddetta repubblica non esiste una maggioranza o un’opposizione, ma il Partito Monocratico dei tengo-famiglia, altrimenti detti responsabili, che renderebbe inutile ogni elezione (e purtroppo anche ogni lezione), e che fa delle piazze, oggi perlopiù virtuali, delle aie per le zuffe dei capponi, dimostrando ancora una volta che l’unica lotta viva vera e spietata è quella del servitore numero uno contro il servitore numero due.
Continuerei cercando di avvertire i miei interlocutori su come, a dispetto della vulgata, siano i critici i veri ottimisti, e quanto il mondo sia sempre migliorato allorché qualcuno, mettendolo in discussione, abbia avuto il coraggio di dire: “Questa è un’enorme cazzata”. Solo chi ha un pizzico di coscienza riesce a comprendere quanto dietro certi proclami, come per esempio quelli della Green Economy, si celino le peggiori devastazioni, e che i veri drammi sono gli incentivi e la manna dei fondi definiti “debito buono”, cioè quelli che s’intasca il Capitalista, mentre “debito cattivo” tutto il resto (onde neoliberisti e neokeynesiani pari sono).
Sono sicuro che i miei studenti, al contrario degli scaldatori di banchi professionisti, converrebbero con me su quanto le notizie false facciano guadagnare di più delle vere (gli affari vanno a gonfie vele spacciando certezze mica dubbi), e come gli algoritmi siano diventati i nostri nuovi astutissimi padroni. Va da sé, quale corollario, che se ci usano per delle ricerche sul campo non è per curare (chi ci casca?) ma per far soldi; che ai Social non interessi dar via i nostri dati ma la costruzione di modelli accurati per predire quello che faremo; e che ormai i Futures son sempre meno sulle Commodities e di più sull’essere umano: del resto non ci vuol affatto un guru della finanza per capire che se non paghi per un prodotto allora il prodotto sei tu.
Concluderei questi incontri sull’economia parlando della nostra terra così vilipesa dalla povertà di un pensiero rozzo alla continua ricerca di “ristori”, ma che, per fortuna, sopravvive ancora, nobile e bella.
Li saluterei, ‘sti ragazzi, suggerendo loro, a mo’ di compito a casa, l’ascolto di Sassidacqua, l’ultimo disco di Mino De Santis, cantore e direi pure egregio economista, né patrunu né servu te ciuveddhri, il quale sembra dirci che un sistema economico senza identità e senza memoria è inesorabilmente materia per curatori fallimentari.
Parlo del Mino De Santis che quattro anni fa venne a Noha per la Festa dei Lettori su invito della Biblioteca Giona e della Paola Congedo. Ebbene c’ero anch’io in quel pomeriggio letterario-musicale, e per lo spettacolo avevo mandato a memoria un bel po’ di parole ardenti di antichi poeti.
Mino chiuse il concerto con “Tutto è cultura”. Giustamente pure io finii per essere, come dire, elegantemente cujunatu.
Antonio Mellone