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Basiliche e cappelle su Rai Uno
Di Antonio Mellone (del 28/01/2018 @ 21:12:22, in Comunicato Stampa, linkato 2027 volte)

Non so più quanti messaggi-fotocopia ho ricevuto nei giorni scorsi tra telefonate, mail, sms su Whatsapp, Messenger e Face-book in cui mi si raccomandava di non perdermi assolutamente “Meraviglie – La penisola dei tesori”, trasmissione di Alberto Angela andata in onda il 24 gennaio scorso alle 21.25 su Rai Uno. Sì, perché tra l’altro si sarebbe parlato anche della Basilica di Santa Caterina in Galatina (della quale, nei dispacci di cui sopra, risaltava la foto di un bello scorcio). 

Confesso che non vedevo Rai Uno dal secolo scorso: sto molto attento a evitare come la peste i canali renzusconiani (quasi tutti), inclusi quelli delle reti Mediaset e molti altri non dichiaratamente tali, ma manieristi dei primi nella forma e nella sostanza. Me ne guardo bene, dicevo, sicché utilizzo il telecomando con oculatezza, quasi con cautela, onde evitare che con la digitazione di certi tasti contribuisca anch’io, benché per isbaglio, all’audience di certi programmi, e correlativamente alla fortuna economico-politica delle due note sciagure governative - maestro e allievo, con codazzo di accoliti vecchi e nuovi - che di ventennio in ventennio stanno provando (riuscendovi benissimo) a distruggere quel che di buono resta del nostro Paese. Ma lasciamo ora da parte l’Unno del Signore e il sodale Renzichenecco, e veniamo a noi.

Insomma, mi son fatto violenza e ho visto il suddetto “Meraviglie”.

Ma, detto fuori dai denti, che delusione. E quanta differenza tra il vecchio “Quark - viaggi nel mondo della scienza” (da imberbe ragazzino non me ne perdevo manco uno) condotto da Piero Angela, il padre di Alberto, e la trasmissione dell’altra sera. Il primo, pur sempre divulgativo, ben fatto, con approfondimenti scientifici e talvolta con “servizi di nicchia” (ricordo tutta una puntata su quell’incredibile macchina musicale che è l’organo a canne, per dire: un tema non proprio da folle oceaniche); il secondo, con belle immagini, certamente, ma dallo spessore culturale di una velina (in tutte le accezioni, intendo, inclusa la carta). Insomma una specie di accozzaglia, un blob di icone per turisti inebetiti, pronti a correre al primo Mc Donald’s di un centro commerciale dopo aver visitato (sbuffando) opere sublimi e, si spera, sempiterne a prescindere dai servizietti di Rai & Co (e dunque dai turisti stessi). 

Credo che sia accaduta la medesima storia per gli altri siti trattati (si fa per dire) nel medesimo minestrone, tipo i Trulli di Alberobello, Castel del Monte, o le ville del Palladio della “Repubblica di Venezia”; e temo che abbia funzionato il medesimo tam-tam social, promosso da chissà chi, forse dallo stesso ufficio marketing della tv Diciamo Di Stato, a solo beneficio dell’Auditel. Cosa non si fa per i numeri, per il budget e per i soldi maledetti e subito: la solita quantità che ammazza la qualità.    

Eppure la nostra Basilica (sarò un campanilista al quadrato) meriterebbe di più che una semplice comparsata in uno spottone pubblicitario (la pubblicità, si sa, non dice tutto, anzi sovente non dice proprio nulla).  

Da un conduttore come Alberto Angela, così bravo (lo riconosco), mi sarei aspettato una puntata affatto diversa: avrei cioè voluto sentire (o risentire) storia e leggende della nascita della basilica dedicata, si badi bene, non a Santa Caterina da Siena, ma a Santa Caterina d’Alessandria, la protettrice dei filosofi (fattore sintomatico, questo, poiché tutta la forza ispiratrice, nella concretizzazione architettonica prima, e in quella pittorica poi, sintetizza l’anselmiamo “credo ut intelligam” – di cui mi parlava il mio compianto amico, il prof. mons. Antonio Antonaci - inteso anche nelle sue ripercussioni sociali e culturali in quel periodo di transizione tra l’età di mezzo e l’evo moderno).

Avrei voluto sentir parlare - e non di corsa, cioè in meno di cinque minuti - della rivoluzione anche linguistica del Santo Francesco e dei suoi seguaci francescani (specialmente degli spirituali separatisi dai conventuali, storici e attuali custodi del complesso monumentale galatinese), e poi ancora di Dante Alighieri, dei nove cicli pittorici cateriniani, e delle diverse scuole artistiche (dalla senese, alla veneziana, alla napoletana, e non ultimo alla locale) che hanno contribuito alla varietà decorativa degli affreschi di questa pinacoteca incredibile.     

Ma forse in fondo meglio così. Meglio la discrezione e un altro po’ di riserbo su questi luoghi ancora così autentici e lontani dal sovraffollamento del turismo di massa.

Scusatemi, ma io son quasi geloso al pensiero che un giorno, com'è inevitabile che sia, queste Meraviglie saranno di tanti.

Antonio Mellone