“O mio amato Bauman, compagno di studi nelle fredde giornate di inverno, quante volte ho disperato sulle tue teorie che consideravo fuori mano! Mi ripetevo cosa avesse la mia società di liquido fino a quando, dopo aver scardinato ogni singolo concetto, ho compreso quanto invece potessi attualizzare la tua concezione alla società odierna.”
Una società che ha poco a che vedere con l’etica, con i tradizionali valori che hanno caratterizzato l’esistenza delle nostre famiglie, i cui i rapporti, basati sul dialogo, ora danno la somma di zero, che non si traducono nella collaborazione ma prevedono un vinto ed uno sconfitto.
Una società, le cui classi hanno il compito di persuadere il consumatore verso un mercato che ti qualifica come inutile, se non in possesso di un determinato bene o servizio d’ultimo grido e che, al contrario, non si preoccupa di educare il prossimo che rappresenta una promessa, ma anche, a volte, una minaccia. Egli utilizza il termine “liquida” per far comprendere l’insostenibile incertezza dei tradizionali valori, ipotesi confermata dall’uso sempre più massiccio ed ingombrante delle nuove tecnologie d’informazione, che rappresentano un contenitore, altroché asettico, che trita emozioni e sentimenti, che mette in atto la mercificazione dell’io e massifica il soggetto alla collettività.
Una società che crea incertezza e spaesamento, che non fornisce alcuna garanzia di risoluzione dei problemi del nostro tempo, che profila la crisi delle ideologie, che dissolve la persona, che punta più all’apparire che all’essere.
Una società che attua un processo non di immedesimazione, bensì di identificazione nei confronti della tematica della morte presentata dai mass media, che rappresentava un tabù e che oggi , invece, si qualifica come un valore alla mercé di tutti. Nella scenografia della “pornografia dei sentimenti”, la cultura popolare diventa un valido strumento per indagare i meccanismi psicologici che sono alla base dell’animo umano e delinea i cambiamenti di questa sporca società contemporanea. L’incontro con la morte avviene a causa del continuo bombardamento, attuato dai mass media, di tragiche immagini, di espedienti tanaturistici ad uso personale, in riferimento alla dilatazione tra sfera affettiva e sfera mediatica.
Rojec parla di “black spot” come attrazioni nere che attraggono curiosi avviando una forma tanatoscopica del viaggio, sorta dalla volontà di incontrare la morte, ma oserei dire che dipende soprattutto dalla capacità dei mezzi di comunicazione di presentare la scena all’utente (che ne approfitta). La curiosità di visitare un luogo segnato dal sangue sovrasta il principio di moralità, ma include quello di integrazione. Come se immortalare l’arresto di un ragazzino, reo confesso di un assurdo omicidio, affetto da borderline e reduce da tre tso, fosse un atto dovuto della propria coscienza.
Qualcuno ha osato classificare tutto ciò sotto la definizione di “dark tourism”.
Visitare il Colosseo, antico rudere nel quale sono morti numerosi cristiani, è dark tourism.
Recarsi nei campi di concentramento ad Auschwitz è dark tourism.
Attendere ore ed ore davanti al luogo del delitto in attesa del rinvenimento del cadavere di una ragazzina o filmare il momento dell’arresto non è dark tourism!
Questa nuova caratterizzazione turistica è frutto di strategie di business o meglio della realizzazione di un nuovo brand all’interno della tematica del turismo di massa, della commercializzazione di gadget creati ad hoc.
Occorre distinguere il limite che caratterizza l’universo delle emozioni da quello della devianza psicologica. Siamo vittime di un sistema mediatico che ci bombarda con la sua morbosità, che produce paura ed instabilità, che convince l’uomo a fotografare un tragico evento rendendolo partecipe dell’avvenuto, che possa essere la prova del “Io c’ero”.
Ma tu, io, noi dove siamo quando viene usata la violenza come arma per uccidere, per sovrastare, per zittire? Dove siamo quando vediamo ma non parliamo? Dove?
Responsabilità e solidarietà non sono più alla nostra portata perché questo è il Carnevale dell’Orrore!
Antonella