Ebbene, sì: ammetto di aver visto tutti i trentasette e passa minuti di video della cosiddetta conferenza stampa tenuta da Sindaco Daniela Sindaco, quelli in cui la reproba cacciata su due piedi dal PD (Partito Disturbato) vuota il sacco colmo (immaginate di cosa), con tanto di piagnisteo incorporato e sceneggiata napoletana (anzi nohana) della strappata delle tessere del PD.
Confesso anche il particolare di averli visti sul mio tablet mentre ero in bagno (sì, signori, non bisogna mai sottrarre del tempo prezioso allo studio, in questo caso di un fenomeno antropologico). Devo ammettere che l’effetto più che rilassante è stato lassativo: roba che il Guttalax, al confronto, sarebbe Enterogermina Adulti.
Orbene, tra una frase sibillina e l’altra, tra un detto e un non-detto, tra un avvertimento, un’allusione pseudo-intimidatoria e un messaggio in codice, cioè in politichese puro (oddio, “puro” è una parola grossa ma vabbè), la candidata nostrana ripercorre dieci anni della sua brillante carriera a Palazzo Orsini, facendo arguire come nel corso delle legislature sia riuscita a superare tutti quanti in retromarcia, essendo stata trattata a pesci in faccia da dirigenti e presunti compagni del suo ormai ex-partito (e di conseguenza come siano stati bistrattati anche i suoi elettori: lo afferma con enfasi la stessa protagonista con questa asserzione cubitale: “LA MIA STORIA E’ LA VOSTRA STORIA”. Ecco, fossi iscritto al PD di Noha mi sarei offeso a bestia).
In qualche brano di questo filmato da teche Rai, s’ode la candidata proferire solennemente la fatidica frase: “Io faccio nomi e cognomi”. Ovviamente di “nomi e cognomi” nemmeno l’ombra (tranne quello di tal Antonio De Matteis, o quello del coordinatore dei circoli, ovvero dei circhi di Noha e Galatina: dunque stiamo parlando del nulla). Gli altri personaggi e interpreti citati, orsù, dall’avvocata nostra, o te li immagini o conosci a menadito tutte le beghe intestine al partito (“intestino”, in entrambi i sensi: letterario e letterale), o sei tagliato fuori dal discorso.
Nel florilegio di invettive ermetiche e catilinarie asintotiche al grottesco, a tratti con toni che farebbero impallidire Vanna Marchi, si ripete più volte un beffardo “cara amica” [e chi sarebbe costei? Ndr.]; si parla inoltre di una “manipolatrice” [avrà un nome questa manipolatrice? E poi, cosa manipolerebbe questa manipolatrice di Sapri? Ndr.]; si viene a conoscenza di “mail inviate direttamente dall’ospedale per la costituzione di un gruppo consiliare” [evidentemente da qualcuno che vi lavora. E, di grazia, a proposito di “nomi e cognomi”, chi sarebbe l’estensore di codeste mail? E da quale ospedale sarebbero partite le missive? Ndr.]; e ancora “[ho ricevuto] ricatti e minacce telefoniche e personali per ritirarmi e starmene buona” [e qui, premessa tutta la mia solidarietà del caso, domando: chi ti avrebbe ricattato e minacciato telefonicamente e personalmente? Forse l’Innominato di manzoniana memoria? Ndr.]; si sente, tra gli altri, un altro avvertimento: “qualcuno dovrebbe abbassare la cresta” [e ‘ntorna: quale galletto o gallina dovrebbe abbassare ‘sta benedetta cresta? Ndr.]; e infine si blatera di fantomatici “ticket da donna a donna” [sarebbe possibile, per favore, sapere il nome di codeste donne? Ndr.].
Insomma frasi così. Tanto che a volte, quando la conferenziera visibilmente incavolata guarda dritta nell’obiettivo della telecamera – e quindi di rimando al telespettatore – inveendo a cento decibel con frasari del tipo: “MA COME TI PERMETTI? VERGOGNATI”, hai un sussulto dalla sedia, anzi dal water, e pensi: vuoi vedere che ce l’ha con me?
Ma il video non è tutto invettive, filippiche e apostrofi: ci sono anche tratti in cui la Daniela Sindaco ha ragione da vendere (tipo in tema di primarie che il partito non ha voluto celebrare, né moi né mai, dimostrando quanto l’aggettivo “democratico” affibbiato al lemma partito in questo caso sia del tutto fuori luogo), o quando asserisce di aver dovuto ingoiare rospi e di essere stata considerata come l’ultima ruota del carro, e quando afferma solennissimamente: “la mia persona non è in vendita” [infatti ha accettato a gratis tutte le angherie partitocratiche, ndr.].
Per fortuna nel filmato, per rinfrancar lo spirito, ci sono anche dei momenti esilaranti anzichenò (giuro che non ridevo così dai tempi di Stanlio e Ollio), come nel tratto in cui la candidata si autodefinisce “giurista”.
Ora mi son chiesto: se Daniela nostra è una giurista, la Lorenza Carlassare cos’è?
Ma quando si riuscirà a far capire una buona volta che un laureato in Filosofia non è automaticamente un filosofo, così come un laureato in Economia non è necessariamente un economista, e parimenti non tutti i laureati in Giurisprudenza sono dei giuristi? Temo al tempo delle calende greche.
Stendiamo un velo pietoso, ovviamente, su quegli interminabili secondi di filmato in cui la nostra sindaco in nuce cita a sproposito anche il povero Giovanni De Benedetto, il quale, mancandoci ormai da qualche anno, non può più ribattere. Tant’è vero che la famiglia s’è sentita in dovere di diramare agli organi di informazione una comunicazione scritta a tutela della memoria del proprio Caro.
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Ma l’apoteosi del comunicato-stampa sindacale sta tutta negli ultimi secondi del film.
Il video infatti (osservate bene) termina con il bacio e l’abbraccio di un “giornalista” locale che è rimasto tutto il tempo, zitto e mosca, ad ascoltare il monologo, e alla fine, già che c’era, s’è guardato bene dal porre una domanda una all’oratore politico. Non un chiarimento. Non un dubbio. Non una spiegazione. Niente di niente. Solo baci, abbracci e occhi lucidi da pesci lessi.
E io - che scemo - pensavo che a scuola di giornalismo insegnassero piuttosto a porre domande (cosa, quando, perché, dove, e soprattutto chi), e a insistere in caso di elusione da parte dell’intervistato, ad incalzarlo anche, a fare le pulci al potere, ad approfondire, a cercare risposte, e - se non lo fanno gli altri - a criticare.
Invece elettroencefalogrammatica piatto.
Ecco perché qui da noi la dialettica è morta, la politica è moribonda, e anche il giornalismo non si sente tanto bene.
Poi uno si chiede come mai più che in un romanzo di Kafka qui siamo proprio nella cacca.