Non c’è niente da fare. Qui dalle nostre parti sembra dominare ancora indisturbato il pensiero unico del consenso di massa.
Perdurano graniticamente (e chissà per quanto tempo ancora) il volemose bene, i tarallucci e vino, le pacche sulle spalle, i finti amiconi, la solidarietà di specie (più che di genere), il partito unico della nazione, l’eterna Trattativa, e dunque frotte di censori (che non sanno nemmeno di esserlo).
Conciliaboli di perbenisti, genie di “borghesi” radical chic, gruppetti di maître à penser, squadre di spacciatori di catene per schiavi novelli, circoli di raddrizzatori di elettroencefalogrammi, staff di incravattati dei dì di festa, clan di amici degli amici, cerchie di intellettuali neo-conformisti, élite con la puzza sotto il naso, ordini di giornalisti da riporto, associazioni culturali foraggiate da pOLITICI e un’accozzaglia indefinita di allegre comari: tutti morbosamente suscettibili, pronti a scandalizzarsi, a stracciarsi le vesti, a sentirsi offesi in prima persona se osi scrivere quello che pensi, utilizzando talvolta più che le biro le penne all’arrabbiata.
Prediligono il disarmo del dissenso al dissenso disarmante. Deplorano la contestazione, l’alterità, la critica, la possibilità di pensare, di programmare e sognare eventuali futuri alternativi. Favoriscono più o meno inconsapevolmente la comunicazione tautologica (e alienata), quella in cui tutti pensano e dicono le stesse cose.
Eh, sì, i tuoi toni sono troppo lapidari, accesi, aggressivi, sagaci e mordaci per i loro gusti raffinati. Loro non si sbottonano mai, per prudenza. Per definizione.
Pazienza se poi in privato sull’argomento, sul fatto o sul tizio di cui ti capita di raccontare le gesta eroiche ti confidino indicibili, inaudite, che dico, oscene “mazze e corne”. Ma in pubblico, no. In pubblico devi essere politically correct, assertivo, allineato e possibilmente coperto.
Certi toni, signora mia, è preferibile ammorbidirli. Meglio i semitoni, il bemolle più che il diesis, i guanti di velluto più che la cartavetro, il fioretto più che il machete, la quiete più che la tempesta. E soprattutto MO-DE-RA-ZIO-NE.
Nessuno, tra codesti moderati-in-pubblico/estremisti-in-privato, che si chieda se le cose che dici o scrivi siano vere o false. Niente. Quel che conta è il tono. Pazienza se la casa sta bruciando, l’importante è aver spento la luce del tinello.
Temo che a Galatina e dintorni si sia ormai regrediti a un punto tale che la gente debba addirittura essere rieducata alla libertà del pensiero, di cui la satira (questa sconosciuta) con il suo potere a volte dissacrante è uno degli strumenti didattici più efficaci.
Non ricordo più dove ho letto che l’obiettivo della satira è esprimere un punto di vista in modo divertente. Divertente per chi la fa, s’intende. Ogni risata dell’autore contiene una piccola verità umana (che spesso fa male). Se poi gli altri ridono, tanto di guadagnato, ma non è un criterio per giudicare la satira. Certo, mica la satira può piacere a tutti: i suoi bersagli o gli amici dei bersagli, ad esempio, non ridono affatto.
E poi non è che la satira debba per forza far ridere, perché a volte deve far piangere. Anzi talvolta la satira più riuscita, la più tagliente e corrosiva, è quella che fa scoppiare di rabbia (per la verità soprattutto i bacchettoni), mentre il disagio che aumenta è solo quello dei parrucconi.
Nell’attesa di accettare, anzi di auspicare un po’ più di satira in questo piattume cosmico continuiamo pure a farci del male: applaudendo al neo-feudalesimo atrofizzante, inneggiando agli anestetici sociali contro il dolore da vita vuota, auspicando l’assopimento dei neurociti, minacciando le teste pensanti, sopprimendo la disobbedienza civile, emarginando i ribelli, i resistenti, gli oppositori, e lottando contro tutto ciò che potrebbe mettere in discussione la nostra omologante schiavitù.
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Qui da noi la casa brucia, la nave affonda, il comune fallisce, il debito avanza, il cemento straripa, l’asfalto corre, la Tap penetra, la stampa disinforma, il popolo dorme, gli attivisti scarseggiano, la Colacem affumica, il cancro dilaga, la gente muore, i poliziotti caricano, la Sarparea incombe, il fotovoltaico devasta, la mafia tratta, la politica latita, le multinazionali occupano, gli ulivi soffrono, l’ambiente detona, il profitto campa e la Costituzione crepa.
In tutto questo l’intellighénzia del pasticciotto (che di questi problemi non ha mai detto mezza parola, probabilmente perché non ne sa nulla o perché più o meno consapevolmente corresponsabile e fautrice) continua invece a parlare di toni, di stile e del solito PD (Pistolotto Domenicale).
Io ho un dubbio atroce, il solito, su chi sia esattamente il soggetto che, mentre indichi la luna, guarda il dito (tra l’altro quello sbagliato).
Sì, signora mia, faccio sempre confusione tra lo stolto e lo stronzo.
Antonio Mellone