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Svelato il mistero della Xylella spocchiosa
Di Antonio Mellone (del 31/10/2016 @ 20:10:16, in NohaBlog, linkato 2732 volte)

A volte penso quanto nell’affaire Xylella si mescolino la tragedia e il ridicolo. Vediamo un po’ come sono andati realmente i fatti.

Qualche giorno fa un paio di “scienziati” (di quelli con tanto di virgolette) percorrendo la SS. 379 Brindisi-Bari (gli scienziati-con-le-virgolette sono sempre in strada, specie sul marciapiede) decidono di fare una sosta per un caffè lungo alla stazione di servizio Q8 di Ostuni (sennò come ti passano le ore lavorative).

Ad un certo punto, i nostri avventori vedono all’ingresso del bar un albero di ulivo maestoso, di quelli plurisecolari, con un tronco che sembra un’opera d’arte e una chioma rigogliosissima senza neppure una foglia secca. Ma sulle prime non ci fanno caso. Nel mentre, esce dal medesimo bar un camionista corpulento anzichenò che, incallito tabagista più pluriennale del nostro sfigatissimo albero, sostando in quei paraggi, tra una sigaretta e l’altra, inizia, come suole, a scatarrare a più non posso. In uno dei suoi lanci magistrali e lungimiranti colpisce il tronco del povero ulivo.

Lo scienziato nota la scena, segue la traiettoria di quel muco espettorato, dà un’occhiata d’intesa al fido Igor, il suo assistente (gli scienziati-con-le-virgolette, come i carabinieri della barzelletta, vanno sempre in due: uno sa leggere, l’altro raggranellare avvisi di indagine da parte di qualche procura) e – per dare un senso al suo lavoro, ma di più alla sua vita – con fare solenne sentenzia: “Quello è un ulivo; e questa è sputacchina. Ora, siccome due più due fa cinque siamo in presenza di Xylella fastidiosa. Qui ci vuole subito una sega”.

Igor, l’attendente con l’occhio che uccide, va a prendere subito una busta di plastica (una di quelle dell’Ipercoop) dalla tasca del cruscotto della macchina di servizio e insieme al suo collega luminare iniziano a raccogliere qua e là dei rametti di tutto ciò che capita a tiro: ulivo, rosmarino, pino silvestre, oleandro, persino lo stelo di un fiore artificiale da un bouquet di vetro e un Arbre Magique ancora incellofanato. Il tutto vien portato a Bari in un laboratorio di analisi cliniche, ma soprattutto psichiatriche, al fine unico di ottenere la conferma del teorema all’ordine del giorno: “Xylella fastidiosa”. Ovviamente nessuno conoscerà mai l’esito delle suddette analisi coperte da segreto allucinatorio, come manco il quarto segreto di Fatima.

Da lì a poco è tutto un susseguirsi concitato di parole, opere, omissioni e ovviamente nessun pensiero.

Non si sa come, forse da face-book, lo viene a sapere anche la Stampa (meglio nota come Stampella fastidiosa), vale a dire l’Ansa da prestazione, il solito Quotidiano cantagironeo, la Mezza Calzetta del mezzogiorno di fuoco, e, ovviamente, Enzo Macifà direttore del TG Orba: insomma le arcinote armi di distruzione di massa critica, che stanno ai fatti e alle notizie come Rocco Siffredi alla castità.

Poteva mancare in questo bailamme la Regione Puglia prima di tutto, la cui classe digerente e politica sta all’attenzione al territorio come un bradipo alla prontezza di riflessi? Certo che no.

Con un bel fax all’Europa (non si sa bene se alla cortese attenzione della Merkel, di Martin Schulz, di Juncker o della Federica Mogherini), miss Puglia si fa bella comunicando gongolante che il male è stato accerchiato, e di lì a qualche ora il problema risolto.

Così, tra il serio e il grottesco, il povero ulivo viene circondato, messo in sicurezza (contro chissà chi), imbacuccato, incappucciato come reclusi di Guantanamo e i condannati a morte senza processo (poi dicono dell’Isis) con una serie di teloni in plastica grigia/lattice di marca (di marca Hatù, per la precisione: avranno sbagliato tronchetto della felicità, ovvero albero della cuccagna).

Pensavano di potersene disfare così, per asfissia (le piante muoiono per asfissia se private della luce), invece son dovuti intervenire per abbatterlo. Di notte. Come i ladri.

Ora. Siccome il protocollo prevede anche l’eliminazione degli altri vegetali nel raggio di 100 metri e visto che l’area di un cerchio è pari a raggio al quadrato moltiplicato per π (pi greco), significa che il deserto da creare intorno ad un albero ritenuto infetto è di 31.415,93 mq, dunque 3 ettari e passa di terreno. Fatevi un po’ di conti sull’Oliocausto in corso inventato dagli scienziati-con-le-virgolette al fine dichiarato “di salvare gli ulivi”.

Il fine recondito, invece, rimane sempre quello della prova di forza del chi sono io e di chi siete voi “quattro comitatini”, condizione necessaria per trasformare la nostra terra in un luna park diuturno con tanto di villaggi turistici briatoregni da un lato, e in una riserva indiana per pale eoliche, Tap, fotovoltaico, trivelle, strade e rotonde e centri commerciali e discariche, dall’altro. 

Alla Q8 di Ostuni, lo sterminator segaiolo notturno, dopo l’albero di ulivo (che non è stato eradicato, ma appunto soltanto segato) in mancanza d’altro, ha rischiato di far fuori (sempre però nel raggio di 100 metri) anche un paio di oleandri, il prato inglese, un ficus benjamin, la colonnina del distributore (ma solo quella della benzina verde) e il barista.  

Ragazzi, siamo in buone mani.

Certo, rimane il dubbio su chi sia il parassita più pericoloso, chi il più fastidioso, chi i vettori del contagio, chi meriterebbe per primo il prossimo abbattimento. E le palle di chi si stiano sempre più disseccando, sbriciolando, cascando. Le mie di sicuro.

Antonio Mellone