C’era silenzio in questo luogo.
Il parco del catello di Noha non chiedeva niente, attendeva. Attendeva mani che sorreggono i borghi sul punto di cadere, e occhi di chi da sempre si occupa di luoghi abbandonati e cose scordate per strada.
Con un poco di fortuna poteva accadere che queste pietre di poco conto si mettessero a parlare di tutte le età, degli amori, dei parti, delle morti di chi le ha abitate.
Attendevano un abbattimento di muro, l’apertura di un varco come di porta santa giubilare.
E ora il piccolo mondo antico, vittima fino a ieri di una metodica pazienza dell’abbandono, tra rovine e ruderi, luogo pieno di lacerazioni e reticoli di crepe si fa presepe vivente; e i brandelli dei vuoti a perdere, da luoghi morti diventano palcoscenico di vita nuova, rinascita, Natale.
In queste rughe, in questi spacchi tanto simili a certi dolori a cui siamo sopravvissuti, è possibile vederci spiragli per l’aria e per la luce, e un invito rivolto a tutti a resistere.
Li chiamavano luoghi morti.
Ma così non è morta la Masseria Colabaldi, non è morta la Casa Rossa, e non è morta la Torre direttamente congiunta al cielo e al suo Ponte Levatoio.
E non siamo morti noi.
Perciò quelle pietre scabre e belle sembrano risuonare di voci piccole e remote che stavolta vogliono dirci: “Cercateci a sera, quando Lui scende dalle stelle”.