Eccome se ci dispiacerà quando, tra un paio d’anni (posto che non lo facciano fuori prima), questo papa si dimetterà per tornarsene nella sua Argentina a vivere da povero. A maggior ragione se i cardinaloni, scottati dal ciclone Francesco, nomineranno un papa pompiere, buono a spegnere i bollenti spiriti (anzi lo Spirito tout court), facendo evaporare l’ebbrezza delle novità bergogliane e riportando le lancette dell’orologio ecclesiastico indietro nel tempo, possibilmente ad una data antecedente all’apertura del Concilio Vaticano II (insabbiato di fatto da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI).
Però non siamo così ingenui da pensare che un papa faccia primavera (come la rondine del famoso adagio), o che Francesco sia un pontefice rivoluzionario, e che dunque da un giorno all’altro preti o monsignori potranno sposarsi (con un uomo o magari con una donna), oppure che le donne potranno accedere all’ordinazione sacerdotale o episcopale, o che la gerarchia venga abolita insieme a titoli onorifici, appellativi, e ordinariati militari (e con essi, dunque, quegli ossimori vergognosi rappresentati dai preti militari o dai vescovi generali di corpo d’armata con tanto di stipendio da parte del ministero della difesa), o che si accetti il testamento biologico, o che dal sinodo sulla famiglia esca fuori chissà cosa [cfr. a questo proposito il nostro “Un questionario papale” apparso su Noha.it del 10/12/2013]; né si può pretendere che in tutte le parrocchie sia chiara la portata di certe aperture (figurarsi: molti preti con pecorelle di complemento al seguito vivono come se Francesco non ci fosse. O nonostante la sua presenza). E poi, detto tra noi, una rivoluzione per definizione non può mai partire dall’alto.
E’ che non possiamo non rallegrarci quando le parole della sua enciclica infastidiscono gli ambienti clericali e conservatori e innervosiscono i poteri economici internazionali, o quando, come il 21 giugno 2014, in Calabria, Francesco scomunica la mafia con parole pesantissime mai pronunciate da alcuno dei suoi predecessori (che avevano solo blaterato qualcosa in merito, ma mai “scomunicato” come parresìa comanda) o quando il papa stigmatizza il lusso e gli onori di alcuni ecclesiastici (parlammo di codesti teatrini clericali in un nostro articolo dal titolo “Nunzio vobis”, apparso su questo sito non più tardi dell’11 settembre 2014, rischiando la scomunica), o quando vengono finalmente riabilitati degli eccellenti teologi allontanati dall’insegnamento (qualche anno fa, non secoli fa) e dunque perseguitati per le loro idee “progressiste”, o quando scopriamo che le parole del nostro amico Fra’ Ettore Marangi, profeta e prete scomodo, sono più “moderate” di quelle dell’attuale romano pontefice…
*
Ma torniamo alle battute conclusive della “Laudato sì” e dunque all’epilogo di questa nostra recensione a puntate.
“Il principio della massimizzazione del profitto che tende a isolarsi da qualsiasi altra considerazione, è una distorsione concettuale dell’economia: se aumenta la produzione, interessa poco che si produca a spese delle risorse future o della salute dell’ambiente; se il taglio di una foresta aumenta la produzione, nessuno misura in questo calcolo la perdita che implica desertificare un territorio, distruggere la biodiversità o aumentare l’inquinamento” (tratto dal punto 195, pag. 160, “Laudato sì” di papa Francesco, Ancora, Milano, 2015). Invece oggi si parla ancora di Pil, di crescita, di aumento della produzione, e altre scemenze del genere, come la panacea di tutti i guai (nel nostro piccolo ne parlammo anche noi, non in qualche nostra enciclica – non ne avremmo le carte per scriverne – ma più modestamente sull’Osservatore Nohano. Cfr. i nostri “Mamma li turchi”, editoriale L’O. N., n. 6, anno III, 9 ottobre 2009, e anche “Frugalità Nohana”, editoriale L’O. N., n. 10, anno II, 9 gennaio 2009).
“Se una persona, benché le proprie condizioni economiche le permettano di consumare e spendere di più, abitualmente si copre un po’ invece di accendere il riscaldamento, ciò suppone che abbia acquisito convinzioni e modi di sentire favorevoli alla cura dell’ambiente. E’ molto nobile assumere il compito di avere cura del creato con piccole azioni quotidiane, ed è meraviglioso che l’educazione sia capace di motivarle fino a dar forma ad uno stile di vita. L’educazione alla responsabilità ambientale può incoraggiare vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente, come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via.” (tratto dal punto 211, pag. 173, ibidem, la sottolineatura è nostra). Ecco come si potrebbe passare dalle virtù teologiche alle virtù ecologiche, dalla teoria alla pratica.
*
“La crisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore. Tuttavia dobbiamo anche riconoscere che alcuni cristiani impegnati e dediti alla preghiera, con il pretesto del realismo e del pragmatismo, spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente. Altri sono passivi, non si decidono a cambiare le proprie abitudini e diventano incoerenti. Manca loro dunque una conversione ecologica” (tratto dal punto 217, pag. 177 - 178, ibidem, la sottolineatura è nostra). Toh, guarda, che anche papa Francesco se la prende con il pragmatismo e contro chi si fa beffe delle (nostre) preoccupazioni per l’ambiente.
*
“Non tutti sono chiamati a lavorare in maniera diretta nella politica, ma in seno alla società fiorisce un’innumerevole varietà di associazioni che intervengono a favore del bene comune, difendendo l’ambiente naturale e urbano. [che combinazione: cfr. anche il nostro “Politica e democrazia” pubblicato su Noha.it il 20/04/2012]. Per esempio si preoccupano di un luogo pubblico (un edificio, una fontana, un monumento abbandonato, un paesaggio, una piazza), per proteggere, risanare, migliorare o abbellire qualcosa che è di tutti. Intorno a loro si sviluppano o si recuperano legami e sorge un nuovo tessuto sociale locale. Così una comunità si libera dall’indifferenza consumistica. Questo vuol dire anche coltivare un’identità comune, una storia che si conserva e si trasmette” (tratto dal punto 232, pag. 187 – 188, ibidem). Ah, ecco: non era archeologismo, il nostro, ma cura disinteressata dei nostri beni culturali, che dovrebbero essere beni comuni tout court. Per dire, anche i nostri “Dialoghi di Noha x l’Ambiente” stanno cercando nel loro piccolo di fare il loro mestiere in tal senso.
*
Non c’è molto altro da aggiungere alle parole di papa Francesco, se non che la vera fede favorisce e incoraggia la laicità e che sarebbe troppo bella una chiesa fatta da un popolo plurale e non allineato; una chiesa libera, liberatrice, non clericale, più donna e democratica, aperta alle differenze, e meno vendicativa; una chiesa con pochi pizzi e merletti e pregiudizi ridotti al minimo, e magari con sacerdoti ministeriali più umani, umili e laici, e possibilmente anche con un nome femminile, e, perché no, con dei figli, da amare ed educare (e casomai da lasciare a casa con la babysitter nelle serate di ritrovo con la comunità).
*
Cos’altro aggiungere? Ah, sì, che non si è buoni credenti se si è troppo sicuri di credere.
Antonio Mellone