A vostra immagine e somiglianza
Indi come orologio che ne chiami
Nell'ora che la sposa di Dio surge
A mattinar lo sposo, perché l'ami,
Che l'una parte e l'altra tira ed urge
Tin tin sonando con sì dolce nota,
Che 'l ben disposto spirto d'amor turge;
Così vid'io la gloriosa ruota
Muoversi e render voce a voce in tempra
Ed in dolcezza ch'esser non può nota
Se non colà dove ‘l gioir s'insempra.
(Tratto dalla Divina Commedia di Dante Alighieri, Paradiso Canto XXIV versi 13-15)
Traduzione rilevata da: I Forum di Orologeria di "Orologiko", disponibile in rete:
Poi, come un orologio a sveglia che ci chiami nell’ora in cui la Chiesa sorge a cantare le lodi del mattino al suo Sposo perché continui ad amarla, orologio nel quale una parte del congegno tira e spinge producendo un tintinnio con melodia così dolce, che riempie d’amor di Dio l’anima fervorosa, allo stesso modo (in cui si muove questo orologio) vidi la gloriosa corona dei beati muoversi danzando e accordare una voce all’altra con una modulazione e una dolcezza tali che non possono essere conosciute se non in paradiso, là dove la gioia (che ispira questo canto) dura in eterno.
Seppur necessiterebbe aprire un dibattito sul tipo di orologio considerato dal sommo Poeta,corre l’obbligo di richiamare alla memoria per lo meno la suggestione che il suono delle campane trasmettevano e trasmettono ancora, là dove non sono state sventrate brutalmente dall’ignoranza sovrana, così come è stato fatto sulla nostra torre civica del 1861. Se la torre è “civica” (della cittadinanza) se ne dovrebbe occupare l’Amministrazione che abbiamo eletto. L’analisi fatta può sembrare banale, ma visto lo stato in cui langue questo simbolo del nostro senso civico è d’uopo ricordare che non servono titoli onorifici o cappelle sepolcrali sontuose se la nostra torre civica è l’immagine della nostra stessa indecenza.
Non servono discorsi pubblici che riempiono il tempo di nulla, non servono carrierismi, né tangenziali inutili, non servono siti di compostaggio o slogan su piste ciclabili dove non esistono nemmeno marciapiedi, non serve pregare che la buona sorte scacci la sfortuna, non serve, noi l’abbiamo già: …il paradiso, là dove la gioia (che ispira questo canto) dura in eterno.
Marcello D’Acquarica
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