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Molto tumore per nulla
Di Antonio Mellone (del 26/08/2014 @ 07:12:59, in NohaBlog, linkato 2738 volte)

Nei giorni scorsi, nel vergare un breve necrologio per un mio vicino di casa venuto a mancare prematuramente nel corso di quest’estate avevo asserito di essere stanco di considerare la rubrica degli annunci funebri di questo sito come il registro dei tumori della nostra cittadina.
E’ che, in effetti, facciamo finta di non accorgerci del fatto che è in corso ormai da troppi anni un massacro di vite umane strisciante, ferocissimo, cancerogeno senza che alcun cittadino osi alzare ciglio o storcere il muso. E tuttavia la sequenza di decessi per cancro passa per un’inezia, una cosa di poco conto da prendere sottogamba, una roba che riguarderebbe come al solito gli altri, mai noialtri.
Il problema dei tumori del Salento (lu sule, lu tumore e lu ientu) diventa abnorme nei distretti di Maglie e di Galatina. Qualcuno s’è mai chiesto il perché? Vuoi vedere che la causa principale dei tumori, come ha osato sostenere quel tal Bondi a proposito del distretto di Taranto, “è imputabile al fumo di sigarette, nonché alla difficoltà nell’accesso a cure mediche e programmi di screening”? Ormai siamo al livello dell’autista mafioso del film di Johnny Stecchino, il quale cercava di spiegare all’inconsapevole protagonista che il principale problema di Palermo, quello che mette famiglia contro famiglia, è il traffico.
Sì, perché noi siam fatti così, pervasi di fatalismo fin dentro il midollo non facciamo altro che stringerci nelle spalle, allargare le braccia e proferire con affettata costernazione: “e che ci possiamo fare?”. Ergo in base a questo atteggiamento la colpa è di chi si ammala, perché ha fumato, perché ha bevuto un bicchiere di troppo, perché ha avuto uno stile di vita a rischio, e soprattutto perché non ha fatto prevenzione. Ci raccontano fole come questa per distogliere l’attenzione dal fatto che la nostra terra è malata soprattutto a causa delle industrie che da ogni sfintere sversano veleni dove capita, sui terreni, in falda, in mare, nell’aria.

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Tra i commenti al necrologio di cui sopra s’annoverava uno scritto da un tizio dallo pseudonimo incomprensibile (ma perché non usare nome e cognome?) che come al solito implorava “preghiera e silenzio in questi momenti”. Ecco, io sono stufo di questo silenzio, che andrebbe rotto una volta per tutte. Non ne posso più di questo omertoso, assopito, democristiano mutismo (che è poi quello che vogliono i ladroni delle ferriere in combutta con politicanti da quattro soldi e da zero idee). Qui bisognerebbe tornare a sentire la voce delle persone più che la voce del padrone; di più, l’indignazione, l’urlo, la ribellione. Meglio il rumore che il tumore. Il che - per rispondere ancora all’anonimo pio interlocutore - non esclude la preghiera (la quale, unita all’azione sarebbe, forse, più corroborata, più sentita, più efficace).
Bisognerebbe allora riconoscere questa strage senza fine, accendere non spegnere i riflettori sul lungo nostrano elenco di morti per cancro, frutto forse della convinzione per la quale “è meglio morire di cancro che di fame” (sebbene oggi pare si muoia di entrambe le cause). Io non ce la faccio più a sentire frasi come questa, conseguenza del ricatto confindustriale che ci mette di fronte alla scelta cinica: o il lavoro o la salute.
E a questo proposito, non vorrei mai più vedere contributi ipocriti e sponsorizzazioni anestetizzanti a eventi, concerti, motoraduni, feste patronali, piccoli restauri, addirittura concorsi letterari, da parte delle varie Ilva, Eni, Colacem, Minermix, Tap, e tra poco magari anche Pantacom. Mi piacerebbe per una volta ringraziare questi munifici elargitori di denaro - derivante probabilmente da diseconomie esterne provocate dalla loro attività - per NON aver concesso la sovvenzione richiesta dai soliti postulanti con il cappello in mano: sarebbe forse il primo vero segnale che in questa terra di belli addormentati nel sottobosco qualcosa finalmente si muove in direzione ostinata e contraria.
Bisogna dire basta alla strage degli innocenti, e nondimeno al silenzio dei deficienti.

Antonio Mellone