giu202019
Qualche giorno fa parlavo con un imprenditore agricolo - uno che per fortuna non si mette a millantare crediti scientifici come invece qualche impiastro da convegno partitocratico usa fare da un po’ di tempo.
“Caro mio – mi fa – con l’agricoltura mio padre è riuscito a costruire casa a tutti e quattro i figli, a farci studiare, a mandare avanti la sua e le famiglie di braccianti che lavoravano con lui. Oggi io che faccio il suo stesso mestiere riesco a stento a tirare a campare.
“Un tempo i semi erano nostri, e da generazioni, li sceglievamo dalle piante migliori, li custodivamo gelosamente. Allestivamo noi stessi i semenzai, concimavamo i campi con il letame delle stalle locali, e poi i trattamenti – sì, c’erano pure quelli - erano al massimo il verderame da diluire nell’acqua e lo zolfo spolverizzato direttamente sulle piante. No, se proprio vuoi saperlo, non ho mai fatto agricoltura biologica.
“Ora siamo costretti ad acquistare tutto dalla A alla Zeta e a caro prezzo: dai semi alle piantine, e non possiamo più utilizzare lo stallatico che è diventato un rifiuto speciale da smaltire in discarica a tariffa piena. Non ti dico poi delle cure fitosanitarie, quelle delle bottiglie di plastica con tanto di teschio e di punto esclamativo sull’etichetta, emblemi di danno e pericolo. Insomma, egregio dottore, non solo ci hanno fatto rinunciare a sapori e profumo dei prodotti del tempo che fu, ma ormai abbiamo pure le mani legate.
“Per farla breve, siamo come dei drogati. E sai chi sono gli spacciatori? Le multinazionali. Le quali hanno studiato scien-ti-fi-ca-men-te come tenerci il più lontano possibile da quella cosa che si chiama Comunità [ogni comunità è per definizione “di recupero”, ndr.].
“Ma mica è finita qui. Un tempo trasportavamo quasi tutto ai mercati generali e con un bel po’ di tira e molla quasi sempre si riusciva a portare a casa un reddito dignitoso. Il resto era vendita diretta al consumatore finale, con un guadagno di gran lunga superiore. Oggi invece produciamo per la cosiddetta Grande Distribuzione Organizzata, quella che ha sostituito le persone con le cifre. È lei che decide cosa e quanto comprare, a quale importo, e come (e soprattutto se) effettuare i pagamenti...”.
Ascoltavo quest’uomo collocato tra l’incudine dei pusher della sua dose giornaliera e il martello dei Mega Centri Commerciali suoi clienti, e pensavo a come provare a rintuzzare questo capitalismo carsico che imperterrito continua a soggiogare quasi tutti con la forza della demagogia che tutto scusa, tutto copre, tutto giustifica.
M’arrovellavo nella ricerca di chissà quali strategie di marketing, quali guru dell’economia, quali capitali o quali potenze scomodare per riuscire ad arginare un po’ il neoliberismo che ci sta accompagnando sottobraccio nei reparti di oncologia, nelle agenzie di pompe funebri o nei tribunali fallimentari, quando un bel pomeriggio in campagna osservo mio padre chino su una pianta di capperi, intento a raccoglierne i frutti con la solita pazienza, la sua naturale lentezza e i sui proverbiali silenzi.
Capperi! – mi son detto - Ecco come perfino un ultranovantenne può dominare una multinazionale.
*
P.S. Ora, vuoi vedere che il censore di turno mi dirà che sto utilizzando un pc multinazionale e addirittura Fb che ne è la massima espressione?
La solita storia della luna, del dito (sul telefonino), e dello stronzo.
Antonio Mellone
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